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Ucraina e repubbliche separatiste, perché il Donbass è così importante

Cuscinetto strategico, centro industriale ed economico, enclave filorussa: le regioni ribelli dichiaratesi indipendenti nel 2014 sono tornate all'Ucraina con gli Accordi di Minsk, in cambio di maggiore autonomia. Ma i patti, come i cessate il fuoco, non sono mai stati rispettati

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Ansa

Il Donbass è finito in prima pagina, ma non per la prima volta.

E sicuramente neanche per l'ultima, data la sua cruciale importanza per le dinamiche interne all'ex blocco sovietico e, giunti al punto in cui si è giunti, anche per gli equilibri mondiali. La geografia è importante, ci dicevano a scuola, e sul Donbass questa verità è particolarmente evidente. Incastonata tra Ucraina, Russia e Mar d'Azov (praticamente il Mar Nero), la regione delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk rappresenta un cuscinetto strategico, il piedistallo su cui poggia il progetto di Putin di una Russia unita in opposizione alla progressiva espansione occidentale verso Est. Un'area a predominanza russa, dalla lingua alla Chiesa e alla moneta, riconosciuta ufficialmente da Mosca e lontana 700 chilometri nello spazio e nel sentimento da Kiev. Il Donbass è però anche una ricca zona carbonifera - il che non guasta mai - grazie al bacino minerario del Don, il grande fiume che divide la Russia dall'Ucraina. Ed è anche il pomo della discordia lanciato sul tavolo di un conflitto mai davvero cessato dal 2014, dai tempi della rivolta filo-europea di piazza Maidan e che ha fatto esplodere il separatismo che oggi spaventa il mondo.

 

 

Zona di confine di una nazione di confine ("Ucraina" vuol dire proprio questo: "terra di confine"), il Donbass è al centro di un braccio di ferro internazionale che ha ormai teso i muscoli di mezzo mondo fino allo strappo. Strappo che ha cominciato a fare male sul serio dal 2014, ma che ha radici più profonde. Di fatto nel Donbass non esisteva un movimento che chiedesse l'annessione alla Russia, ma le difficoltà economiche, sempre più gravi dal 1991 in poi, hanno spinto molti a guardare con sempre maggiore ottimismo a un controllo da parte di Mosca. Con il Cremlino che, al di qua del camino, non ha mancato di soffiare sulla brace rovente del sovietismo.

 

Ucraina, strappo separatista: Putin firma il riconoscimento dell'indipendenza del Donbass

 

Su oltre cinque milioni di abitanti (ucraini), 770mila hanno passaporto russo: praticamente uno per famiglia. La popolazione è quasi totalmente russofona e russofila, usa il rublo e ospita una Chiesa ortodossa fedele alla Russia e separata da quella ucraina. Anche se sulla carta le due regioni di Donetsk e Lugansk sono gestite da leader ucraini, la Russia esercita da tempo un forte controllo su di esse. Chi vive nelle due repubbliche autoproclamate è invitato a richiedere la cittadinanza russa e ad abbandonare quella ucraina e può votare alle elezioni russe.

 

 

La strategia di Putin, culminata con il riconoscimento dell'indipendenza delle repubbliche di Donetsk e Lugansk, è però passata dal piano politico-economico a quello militare, con la mobilitazione di truppe nel territorio. Quest'ultima ha sulla carta lo scopo di "assicurare la pace", ma di fatto infrange il tabù della violazione della sovranità nazionale e lancia una sfida chiara a un Occidente idealmente guidato da Stati Uniti ed Europa. Un Occidente che intende rispondere con armi economiche, dalle sanzioni al blocco del gasdotto NordStream 2.

 

Ucraina, Russia e Nato: le forze in campo

Più di centomila soldati russi alle porte dell'Ucraina, migliaia di truppe americane inviate nelle ultime settimane in Polonia e Romania. E poi i movimenti in mare, con la maxi-esercitazione militare lanciata da Mosca nel Mar Nero, muovendo 30 navi da Sebastopoli e Novorossijsk per "difendere la costa della penisola di Crimea, le basi del Mar Nero e il settore economico del Paese da possibili minacce militari"; mentre da dicembre la portaerei americana Harry Truman è impegnata in manovre nel Mediterraneo, che nell'ultima settimana si sono spostate nell'Adriatico per esercitazioni congiunte con gli Alleati.

 

Nella crisi ucraina, le forze in campo hanno le dimensioni da conflitto su vasta scala, potenzialmente devastante.  L'escalation iniziata con Mosca che per mesi ha ammassato le sue forze sul fianco orientale della Nato dichiarando di voler proteggere i suoi confini, da ultimo con le manovre militari in Bielorussia, ha spinto Washington a rispondere con l'invio di massicci rinforzi in Europa.

 

Altri tremila soldati americani sono arrivati in Polonia, dove dall'inizio della crisi erano già stati inviate 1.700 truppe della brigata da combattimento di fanteria dell'82/ma divisione aviotrasportata. In Romania è stato invece trasferito uno squadrone dalla Germania. Decisioni che mirano a rafforzare la difesa - e la deterrenza - nei due Paesi Nato con i confini più lunghi con l'Ucraina. Un dispiegamento in cui vanno considerati anche gli 8.500 soldati messi in stato di "allerta elevata" a fine gennaio per essere schierati in Europa, se necessario.

 

Proprio dal cuore dell'area di crisi, però, il Pentagono ha deciso di ritirare "per prudenza" 160 soldati americani della Guardia nazionale della Florida che erano impegnati nell'addestramento dei colleghi ucraini, quasi tutte quelli ancora nel Paese. Se l'esercito di Kiev conta oltre 200mila soldati e 900mila riservisti, e si è rafforzato dal conflitto del 2014, ricevendo da allora 2,5 miliardi in aiuti militari americani e triplicando il suo budget nell'ultimo decennio, il confronto con le forze di Mosca rimane impari.

 

Di certo, però, gli armamenti della Nato ne hanno rafforzato la capacità di resistenza, anche grazie a strumenti all'avanguardia come i droni da combattimento turchi Bayraktar TB2. In Europa, poi, ci sono anche circa 70mila truppe americane che stazionano in modo permanente, circa la metà in Germania, cui vanno aggiunti i 7mila soldati che ruotano nell'ambito dell'operazione Atlantic Resolve acquartierati a Poznan, nella Polonia centro-occidentale.

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Perché si combatte nel Donbass: la rivolta di Kiev e le repubbliche separatiste - L'instabilità del Donbass affonda le radici nella nostalgia dell'Unione Sovietica scatenatasi (dietro grande spinta della Russia) proprio nel 2014, con la cacciata del filo-russo Viktor Yanukovich dal governo ucraino e l'insediamento di una democrazia filo-occidentale. Di pronta risposta Putin invade la Crimea, penisola dell'Ucraina meridionale che oggi è una Repubblica autonoma di fatto federata alla Russia. Il Cremlino non manca di fomentare l'ondata di separatismo che ne è scaturita, armando e finanziando i ribelli filo-russi per la conquista di parte del territorio ucraino. La rottura del tessuto geopolitico è inevitabile e si consuma con l'insurrezione del Donbass, l'indipendenza e la secessione della regione dall'Ucraina, attraverso un referendum a dir poco contestato. Si impongono così le due repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, che occupano un'area grande grossomodo come l'Umbria e corrispondente a circa un terzo delle due grandi province omonime. E che negli ultimi anni hanno vissuto da "separate in casa" con l'Ucraina.

 

 

Gli Accordi di Minsk e la pace mai raggiunta - Dopo 14mila morti, città ridotte a fantasmi e migliaia di sfollati, le parti in causa tentano una parziale risposta con gli Accordi di Minsk del 2014 e del 2015, che prevedono la tregua armata e una maggiore indipendenza del Donbass da parte di Kiev. Nella realtà dei fatti, però, le intese sottoscritte in Bielorussa non sono mai rispettate e oggi potrebbero rappresentare la miccia di un conflitto più ampio fra Russia e Occidente nella contesa sull'allargamento della Nato a Est.

 

 

La guerra oggi - Se si domanda agli abitanti di confine, quasi tutte le parole riguardanti la guerra in Donbass appartengono alla semantica del freddo. Nei discorsi su quella quotidianità ferita, si parla di conflitto "congelato", di "grandine". Ogni giorno si registrano decine e decine di violazioni di un cessate il fuoco che, parola dei locali, non è mai stato davvero rispettato. Si racconta che qualcuno riesca addirittura a riconoscere i colpi d'artiglieria a seconda del fischio. Senza dimenticare che il Donbass è anche uno dei più grandi campi minati della Terra, con un milione e 600 mila ettari di terreno ad alto rischio che, secondo l'Onu, richiederebbe 60 anni per essere bonificato del tutto. E a patto che la guerra finisca oggi.

 

 

L'importanza di Mariupol - Il "fronte" del Donbass è una linea netta annerita dal fuoco degli scontri e interrotta, a sud, da una città dall'importanza strategica tutt'altro che trascurabile: Mariupol. Conosciuta una volta col nome di Zhdanov, la città ucraina si affaccia sul Mar d'Azov e rappresenta un passaggio obbligato per truppe e merci di Mosca verso la Crimea e le repubbliche filorusse. Ma Mariupol è diversa: non vuole essere inglobata nella galassia russa. Fondata dai cosacchi e motore dell'industrializzazione ucraina, la città appare però geopoliticamente sotto assedio russo: a Est, a meno di cento chilometri, è incalzata da migliaia e migliaia di miliziani filorussi; a 300 chilometri a Ovest, in Crimea, è minacciata dalle corrazzate e dai marines di Mosca; a sud, a neanche 70 chilometri, è tallonata dalla provincia russa di Rostov. E con il Mar d'Azov che rappresenta libertà e pericolo, trait d'union tra Cimea e Donbass e possibile bersaglio dei mezzi anfibi russi.

 

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