Un'escalation militare senza precedenti riaccende lo scontro per la regione contesa, mentre Pechino si muove sullo scacchiere asiatico.
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Kashmir: una disputa lunga decenniCos'è la Linea di Controllo (LoC)?Perché il Kashmir è strategico?Arsenali nucleari a confrontoIl conflitto di Kargil del 1999La posizione dell’ONU sul KashmirIl trattato delle acque dell’IndoChi vende armi a India e Pakistan?La posizione della Cina sul KashmirCosa accadrebbe in caso di guerra nucleare?
Il Kashmir è di nuovo al centro di un'escalation che potrebbe trasformarsi nel più pericoloso conflitto del XXI secolo. India e Pakistan, potenze nucleari storicamente rivali, si accusano reciprocamente dopo l'attentato di Pahalgam e l'Operazione Sindoor. Ma questa volta, ad alimentare le tensioni, c'è anche il ruolo silenzioso ma cruciale della Cina, alleata di Islamabad e interessata alla stabilità della regione. L'ombra atomica incombe, mentre i tre giganti asiatici si muovono su un campo minato geopolitico.
Il 22 aprile 2025, un attacco terroristico a Pahalgam, nel Kashmir amministrato dall'India, ha causato la morte di 26 civili, principalmente turisti indiani. Il gruppo The Resistance Front, affiliato a Lashkar-e-Taiba, ha rivendicato l'attentato. L'India ha accusato il Pakistan di sostenere il gruppo e, in risposta, ha lanciato l'Operazione Sindoor il 6 maggio, colpendo nove obiettivi in Pakistan e nel Kashmir pakistano, tra cui sedi di gruppi terroristici come Jaish-e-Mohammed e Lashkar-e-Taiba.
Il Pakistan ha condannato gli attacchi come un "atto di guerra", sostenendo che hanno causato la morte di almeno 26 civili e il ferimento di altri 46. In risposta, Islamabad ha abbattuto cinque aerei indiani e ha annunciato ritorsioni. Le relazioni diplomatiche si sono deteriorate: l'India ha espulso diplomatici pakistani, sospeso il trattato delle acque dell'Indo e chiuso i confini, mentre il Pakistan ha risposto espellendo diplomatici indiani, chiudendo lo spazio aereo e sospendendo l'Accordo di Shimla del 1972.
Il Kashmir è al centro delle tensioni tra India e Pakistan sin dalla Partizione del 1947. Il maharaja del Kashmir, nonostante la maggioranza musulmana della popolazione, decise di aderire all'India, scatenando il primo conflitto tra i due paesi. Da allora, ci sono stati altri due conflitti principali nel 1965 e nel 1999, oltre a numerosi scontri minori e una persistente insurrezione nella regione.
Entrambi i paesi possiedono armi nucleari e mantengono una dottrina militare ambigua, che non esclude l'uso dell'atomica in caso di minaccia esistenziale. Secondo le stime del SIPRI, l'India ha circa 160 testate, il Pakistan ne conta 170. Ma ciò che allarma gli analisti è la mancanza di dialogo diplomatico e i crescenti rischi di errore di calcolo. In un contesto segnato da nazionalismi aggressivi e presenza di gruppi terroristici attivi nella regione, una guerra convenzionale potrebbe degenerare rapidamente. Un conflitto nucleare avrebbe effetti devastanti non solo sul subcontinente, ma a livello globale: milioni di morti, collasso economico e possibili conseguenze climatiche come un inverno nucleare.
La Linea di Controllo (LoC) è il confine militare de facto che divide la regione del Kashmir tra l'India e il Pakistan, stabilito dopo il cessate il fuoco della guerra del 1947-48 e ridefinito nel 1972 con l'Accordo di Shimla. Non è un confine internazionale riconosciuto, ma una linea di separazione controllata da due eserciti contrapposti, spesso teatro di scambi di colpi d'artiglieria e violazioni del cessate il fuoco. Lungo la LoC si trovano villaggi, postazioni militari e civili costretti a vivere in un clima di costante tensione, in un'area considerata una delle più militarizzate del mondo.
Il Kashmir è cruciale per tre motivi fondamentali: idrico, militare e simbolico. La regione ospita le sorgenti di fiumi vitali come l'Indo, essenziali per l'agricoltura e l'approvvigionamento idrico di entrambi i paesi. Sul piano militare, il controllo del Kashmir significa dominare l'accesso all'Himalaya e mantenere posizioni strategiche in un'area chiave per la sicurezza nazionale. Ma il Kashmir è anche un simbolo identitario potentissimo: per l'India, rappresenta l'integrità territoriale e la laicità dello Stato; per il Pakistan, è la causa musulmana irrisolta dalla Partizione del 1947. Questa miscela di interessi concreti e ideologici rende la regione altamente esplosiva.
L'India dispone di circa 160 testate nucleari, mentre il Pakistan ne possiede circa 170. Entrambi i paesi stanno intensificando la modernizzazione dei propri arsenali, investendo in missili balistici a lungo raggio, sottomarini a propulsione nucleare e sistemi avanzati di comando e controllo. Questa corsa al riarmo, unita alla mancanza di meccanismi di comunicazione di crisi efficaci, aumenta notevolmente il rischio di errore di calcolo o reazioni sproporzionate. A rendere lo scenario ancora più instabile è la dottrina del “first use” del Pakistan, che prevede l'impiego di armi nucleari anche in risposta a minacce convenzionali. In un contesto di forte tensione e provocazioni, un'escalation nucleare, seppur non inevitabile, appare oggi più plausibile che in passato.
Firmato nel 1972, imponeva la risoluzione bilaterale dei conflitti. La sua sospensione nel 2025 ha segnato una svolta nelle relazioni diplomatiche indo-pakistane.
Il conflitto di Kargil scoppiò tra maggio e luglio del 1999, quando truppe pakistane e miliziani infiltrati occuparono postazioni strategiche sulle alture di Kargil, nella regione del Kashmir controllata dall'India. L'India reagì con un'operazione militare su larga scala, supportata dall'aviazione e dall'artiglieria, riuscendo dopo settimane di combattimenti ad annientare le postazioni nemiche. Il confronto causò oltre mille morti tra i due schieramenti e mostrò quanto le tensioni sul Kashmir potessero degenerare rapidamente anche in tempi di apparente distensione. La comunità internazionale, in particolare gli Stati Uniti, giocò un ruolo cruciale nel persuadere il Pakistan al ritiro. Il conflitto evidenziò la pericolosa instabilità della regione e la fragilità degli accordi diplomatici esistenti.
Fin dalla Risoluzione 47 del 1948, l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha richiesto l'organizzazione di un referendum per permettere alla popolazione del Kashmir di decidere se aderire all'India o al Pakistan. Tuttavia, a causa di divergenze politiche e militari tra le parti, la consultazione non è mai stata realizzata. Il mancato rispetto della risoluzione è una delle principali rivendicazioni del Pakistan, che continua a invocare il diritto all'autodeterminazione per i kashmiri. L'India, invece, considera il Kashmir parte integrante del proprio territorio nazionale e rifiuta qualsiasi mediazione internazionale. L'ONU, pur sollecitando regolarmente una soluzione pacifica e bilaterale, ha ormai un ruolo marginale nella gestione della crisi, con scarsa capacità d'influenza concreta sugli sviluppi.
Il trattato delle acque dell'Indo, firmato nel 1960 con la mediazione della Banca Mondiale, è uno degli accordi idrici più duraturi e significativi al mondo. Regola la spartizione delle acque dei sei principali fiumi del bacino dell'Indo tra India e Pakistan: tre a nord assegnati al Pakistan (Indo, Jhelum, Chenab) e tre a sud all'India (Ravi, Beas, Sutlej). Nonostante tre guerre e numerose crisi diplomatiche, il trattato è sempre stato rispettato, rappresentando una rara forma di cooperazione tra i due Paesi. Tuttavia, la recente decisione dell'India di sospenderne l'attuazione, in risposta all'attentato di Pahalgam, è un segnale gravissimo: il conflitto si sposta anche sul piano delle risorse vitali, aggravando l'instabilità regionale e mettendo a rischio la sicurezza idrica di milioni di persone in Pakistan.
Quasi inesistenti e soggetti a sospensioni periodiche. Ogni escalation politica ne peggiora la già fragile ripresa.
India e Pakistan figurano regolarmente tra i principali importatori mondiali di armamenti. Secondo i dati SIPRI, tra il 2019 e il 2023 l'India ha speso oltre 20 miliardi di euro in importazioni militari, con fornitori principali come Francia, Russia, Stati Uniti e Israele. La Francia, in particolare, ha fornito jet Rafale per un valore complessivo superiore a 7 miliardi di euro. Il Pakistan, nello stesso periodo, ha importato armi per circa 7 miliardi di euro, principalmente dalla Cina, che gli ha fornito aerei da combattimento, droni e sistemi missilistici, seguita da Turchia e Stati Uniti. Questo costante riarmo bilaterale alimenta la tensione strategica nella regione e limita le possibilità di dialogo. Inoltre, il crescente impiego di tecnologie avanzate e armamenti a lungo raggio rende ogni crisi potenzialmente esplosiva.
La Cina non è un attore neutrale nella questione del Kashmir. Pechino sostiene politicamente e militarmente il Pakistan ed esercita un controllo diretto sull'Aksai Chin, una regione del Kashmir storicamente rivendicata dall'India. Questo territorio è strategico per la Cina perché collega il Tibet allo Xinjiang e rientra nella visione geopolitica della “Nuova Via della Seta”. Inoltre, la Cina è coinvolta in frequenti tensioni di confine con l'India anche lungo la Linea di Controllo Effettivo (LAC) nell'Himalaya orientale. Il sostegno cinese al Pakistan, sia in ambito militare che diplomatico, rappresenta un ulteriore elemento di complessità nello scacchiere asiatico, accrescendo il rischio che una crisi bilaterale si trasformi in un confronto a tre potenze.
Uno scontro nucleare tra India e Pakistan causerebbe milioni di morti immediate e avrebbe conseguenze devastanti anche oltre i confini regionali. Le grandi città, i centri industriali e le infrastrutture strategiche verrebbero annientati in poche ore. Ma il vero impatto si estenderebbe a livello globale: secondo diversi studi scientifici, le esplosioni nucleari solleverebbero enormi quantità di polveri e fuliggine nell'atmosfera, oscurando il sole per mesi e causando un “inverno nucleare”. Le temperature medie globali potrebbero crollare, distruggendo raccolti e provocando carestie su larga scala. La crisi climatica si sommerebbe a una crisi alimentare globale, con effetti sistemici su salute, economia e sicurezza internazionale. L'ipotesi, per quanto estrema, è oggi considerata possibile da molti analisti strategici.