Curiose superstizioni da tutto il mondo
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Dall'ingresso in campo con lo stesso piede alla pallina fatta rimbalzare un numero preciso di volte: il primo italiano a vincere Wimbledon ha un suo rituale pre partita. E non è l'unico. Perché - spiegano gli esperti - certi gesti possono aiutare a ridurre l'ansia e favorire la concentrazione
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Prima di ogni partita, Jannik Sinner ha un appuntamento irrinunciabile: il bagno. “Se vado in bagno vuol dire che la partita la sento, ed è giusto così. Se non succede, allora gioco male o perdo”, ha raccontato in un’intervista a La Stampa nel 2024. E' solo uno dei suoi rituali pre-gara. Ed è probabile che anche durante la finale di Wimbledon 2025, vinta contro Carlos Alcaraz, non siano mancati. Ma saranno stati davvero questi gesti a garantirgli la vittoria?
Nel suo approccio metodico al tennis, Jannik Sinner ha costruito una rete di piccoli rituali che vanno ben oltre il gesto scaramantico. Il passaggio in bagno prima di ogni match è solo il più noto: come ha raccontato lui stesso, è un indicatore del suo stato mentale, un modo per capire se è “dentro” la partita o no. Ma ce ne sono altri, meno visibili ma altrettanto ricorrenti.
Sinner entra in campo sempre con il piede destro e durante il gioco evita accuratamente di calpestare le righe con il piede sinistro, modificando anche la falcata per rispettare questa regola che si è autoimposto. Prima di ogni servizio fa rimbalzare la pallina un numero preciso di volte: sette per il primo, cinque per il secondo. Soffia sulle mani a ogni punto, una gestualità che sembra tecnica ma che è diventata parte della sua routine mentale. E ancora, nello spogliatoio segue una sequenza ben precisa, sempre rivelata a La Stampa: cambio del grip, applicazione del tape, poi – e solo alla fine – il bagno. A volte si rilassa ascoltando musica o giocando alla PlayStation, come modo per scaricare la tensione. Persino il cappellino ha una funzione psicologica: lo aiuta a isolarsi, a creare una barriera simbolica tra sé e il mondo esterno, per concentrarsi solo sul gioco.
Da decenni la psicologia dello sport studia i rituali e la scaramanzia. Non esistono prove che questi gesti abbiano un impatto oggettivo sulla performance, ma i loro effetti soggettivi sono documentati. Uno studio pubblicato su Frontiers in Psychology nel 2016 ha evidenziato che i rituali possono contribuire a ridurre l’ansia, aumentare il senso di controllo e migliorare la concentrazione nei momenti ad alta pressione.
In uno studio del 2010, pubblicato su Psychological Science, alcuni ricercatori hanno dimostrato che l’uso di “oggetti fortunati” aumenta significativamente la performance in test motori e cognitivi. Il motivo? La maggiore fiducia in se stessi generata dal rituale stesso, non dall’efficacia magica del gesto.
Il valore dei rituali risiede nella loro ripetitività, non nel gesto in sé. Come spiegato dal Wall Street Journal, è la struttura mentale del rituale a creare un effetto calmante e a favorire il focus, soprattutto in sport dove la pressione è estrema e i margini d’errore ridottissimi. Gli psicologi lo chiamano "illusion of control": la convinzione, spesso illusoria, di poter gestire un esito incerto. In realtà, quell’illusione può essere funzionale, perché aiuta l’atleta a sentirsi preparato.
La lista degli sportivi devoti ai rituali è lunga e trasversale. Serena Williams, ad esempio, rimbalza sempre la pallina cinque volte prima del primo servizio e due prima del secondo. Rafael Nadal, come rivela Men's Health Italia, ha costruito un’intera liturgia intorno a ogni match: posizionamento preciso delle bottiglie, tocchi sulla spalla, ingresso in campo con passo specifico.
Anche fuori dal tennis, le abitudini scaramantiche abbondano. Michael Jordan indossava sotto la divisa NBA i pantaloncini dell’università del North Carolina. Cristiano Ronaldo ha un rituale legato ai capelli. Tiger Woods, per anni, ha indossato una maglietta rossa la domenica, perché “porta bene”.
Non tutti i rituali sono scaramantici in senso stretto. Spesso si tratta di routine psicologiche, cioè azioni strutturate che aiutano a preparare mente e corpo allo sforzo. La differenza è sottile ma sostanziale: nella routine c’è intenzionalità razionale, nella superstizione c’è la paura che l’evento possa andare male se il gesto viene omesso.
Uno studio del 2014 condotto su atleti universitari e pubblicato sul Journal of Applied Social Psychology ha rilevato che oltre il 90% di loro praticava rituali prima delle gare, ma solo una minoranza li considerava determinanti per il risultato. La vera funzione è emotiva e cognitiva: abbassare la tensione, migliorare il focus, creare un contesto familiare in cui l’atleta può sentirsi “nel controllo”.
Non esiste, dunque, una correlazione causale tra rituale e vittoria. Ma esiste un collegamento tra rituale e miglior gestione dello stress, e questa può tradursi in una performance più efficace. Il gesto scaramantico diventa un’ancora mentale: aiuta l’atleta a “staccarsi” dal rumore esterno, focalizzarsi sul presente e ridurre la pressione percepita.
In questo senso, il rituale è uno strumento. Non magico, ma psicologico. E come tale, funziona solo se l’atleta ci crede. I rituali scaramantici, quindi, non decidono il risultato, ma aiutano a entrare pienamente in partita, con quel mix perfetto tra talento, allenamento e lucidità.
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