La condivisione di immagini del proprio bambino, senza consenso dell'altro genitore, finisce sempre più spesso in un'azione legale. Specie nelle separazioni conflittuali
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Sembra una banalità, ma non lo è: pubblicare le immagini dei propri figli sui social può essere pericoloso. Gli scatti del primo bagnetto, della festa di compleanno, della vacanza estiva restano nel mare magnum della Rete e possono finire nelle mani di malintenzionati. Una consapevolezza che sembra crescere anche in Italia. Come spiega al Messaggero il maggiore Samanta Cimolino, comandante della sezione Atti persecutori del Racis dei carabinieri, si registra negli ultimi mesi un aumento di denunce da parte di genitori che, alle prese con una separazione conflittuale, lamentano come l'ormai ex coniuge pubblichi foto del figlio senza il proprio consenso.
A giugno 2025, il Tribunale civile di Milano ha ridefinito il concetto di "responsabilità genitoriale". In una controversia tra genitori, in cui uno accusava l'altro di pubblicare senza autorizzazione le foto del figlio sui social, il giudice ha stabilito che madre e padre sono "custodi" delle immagini del proprio bambino e devono vigilare sulla loro pubblicazione. Dunque, sia che pubblichino tali contenuti in modo volontario o meno, dovranno assumersi (entrambi) eventuali responsabilità penali. Il dovere dei genitori, spiega il Tribunale, è proteggere il decoro e la dignità del proprio figlio.
Il fenomeno della condivisione online costante, da parte dei genitori, di immagini che riguardano i propri figli si chiama sharenting, parola coniata negli Stati Uniti e che deriva da share (condividere) e parenting (genitorialità). Com'è ovvio, nella maggior parte dei casi questa esposizione avviene senza il loro consenso, spesso perché ancora troppo piccoli per comprendere le possibili implicazioni "Il fenomeno è in crescita e coinvolge le categorie più vulnerabili", spiega il maggiore Cimolino al Messaggero. "Non corrisponde a reato o categoria giuridica, ma è presupposto di condotte che possono portare a reato", sottolinea. Non parliamo solo di violazione della privacy, "ma della riservatezza, della perdita del controllo dei contenuti digitali che li riguardano. Da qui, il rischio di adescamento, condivisione di informazioni e dati su minori, furto di identità ed esposizione del minore a possibili future molestie e cyberbullismo", evidenzia.
"L'università di Southampthon ha messo a confronto le famiglie inglesi e italiane. Ebbene, il 45% di quest'ultime non sa cosa sia lo sharenting e le sue conseguenze", dice il maggiore Cimolino. "Chi pubblica foto del figlio, dalle ecografie al corredino, fino a tutte le fasi della vita non comprende che tutte questa informazioni vanno a sedimentarsi in Rete e diventano parte dell'identità digitale dei ragazzi. E non sappiamo che fine fanno, possono avere effetti sul futuro dei ragazzi, poiché a disposizione di chiunque - sottolinea -. Chiaro che il fenomeno può essere usato nelle separazioni conflittuali, ma è molto più trasversale, sotto gli occhi di tutti: negli anni si sono incrementate le foto di minori pubblicate in occasione di eventi che un tempo erano circoscritti all'ambito familiare".
Ciò avviene perché, spiega il maggiore Cimolino al Messaggero, "assistiamo a un desiderio di visibilità e ricerca di consenso che si concretizzano con la condivisione di episodi di vita e aneddoti familiari. Un narcisismo genitoriale, alla ricerca del like. I ragazzi sono più consapevoli e attenti. Servono riferimenti seri e consapevoli per i figli in grado di riconoscere segnali di malessere e vittime di cyberbullsimo".
La Società italiana di Pediatria, molto attenta allo sharenting, ha diffuso cinque avvertimenti per i genitori a garanzia della sicurezza dei figli: condividere immagini, video e qualsiasi contenuto che abbia come protagonisti i bambini significa costruire il "dossier digitale" di un minore senza il suo consenso; prevedere una certa cautela e, in molte occasioni, l'anonimato, per prevenire furti di identità; non condividere immagini dei figli in qualsiasi stato di nudità; attivare notifiche che avvisino i genitori quando il nome dei figli appare nei motori di ricerca; rispettare il consenso e il diritto alla privacy dei minorenni.