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"Com'è stato": la vita dei rom come quella in lockdown

Un breve cortometraggio realizzato dal collettivo indipendente MantraMezcal racconta le similitudini che legano la vita dei rom italiani con la nostra esperienza durante il lockdown

L'arrivo della pandemia e le successive chiusure non hanno influito solo sul nostro modo di vivere, ma hanno portato anche molti progetti nati mesi prima a prendere strade diverse. Tra questi c'è anche "Com'è stato", un breve cortometraggio ideato dal collettivo indipendente MantraMezcal con immagini catturate prima del lockdown in un campo rom di Milano e fatte poi rinascere da una nuova propettiva. 

"Era da tempo che volevamo raccontare uno spaccato della vita dei rom italiani, e grazie all'intervento dell'attivista Dijana Pavlovic del Movimento Kethane, siamo stati ospitati dal Villaggio delle Rose, campo rom a sud di Milano". A raccontare l'esperienza del gruppo è Filippo Pax, regista e autore. "L'idea di partenza era dunque quella di raccontare la vita di queste famiglie costrette ad affrontare isolamento, emarginazione e reclusione"

 

Dopo la fine del lockdown, ripensando a quel modo di vivere e a quello che tutti gli italiani avevano trascorso dentro casa, Filippo e i suoi soci hanno re-interpretato quelle immagini. "Abbiamo deciso di montare il tutto raccontando le similitudini tra la nostra esperienza in lockdown e le storie del Villaggio. Nel corso del video poi, una voce filtrata dal telefono, un suono decisamente familiare nel nostro ultimo anno, ci chiede provocatoriamente: Com'è stato vivere da ROM?".

 

 

"Com'è stato" la vita del campo rom attraverso l'esperienza del lockdown

Un video breve nato dall'idea del collettivo cinematografico indipendente MantraMezcal e che ha come obiettivo quello di raccontare le storie del Villaggio delle Rose, campo rom a sud di Milano, sottolineando le similitudini tra la loro quotidianità e le nostre vite fermate dal lockdown.

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Per i MantraMezcal il video è diventato un'occasione per spingere lo spettatore a entrare in empatia con "un popolo invisibile", come lo definisce Filippo, "di cui si parla solo in occasione di fatti di cronaca o in campagna elettorale". 

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