Il governo di Canberra ha fissato per il 2035 un taglio delle emissioni tra -62 % e -70 % rispetto ai livelli del 2005 e ha investito 7 miliardi di dollari australiani per accelerare la transizione
di Dario DonatoSi potrebbe dire "cambia il vento in Australia", ma forse il vento inizierà ad essere finalmente utilizzato perchè il governo di Canberra ha fissato per il 2035 un taglio delle emissioni tra -62 % e -70 % rispetto ai livelli del 2005 e ha investito 7 miliardi di dollari australiani per accelerare la transizione.
Secondo quanto sostenuto dall'esecutivo, il nuovo target dovrebbe aiutare l’Australia a limitare del 43% le emissioni entro la fine di questo decennio e a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Sforzi necessari, e per la verità secondo alcuni nemmeno sufficienti, per un continente dove un milione e mezzo di persone residenti nelle zone costiere di qui al 2050 risultano esposte a un forte rischio dovuto all’innalzamento del livello del mare.
I numeri messi sul tavolo fanno comunque rumore perché arrivano da uno dei giganti mondiali dell’export fossile: secondo i dati più recenti l’Australia è secondo esportatore di carbone e secondo di GNL a livello globale.
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La Climate Change Authority suggeriva proprio una forchetta 62–70 % al 2035; il governo l’ha fatta sua e ora la invia all’ONU come nuovo piano nazionale clima. La mossa divide: per gli ambientalisti non basta, per le imprese sarà dura ma fattibile con regole stabili. Intanto, le analisi sul commercio estero dicono che l’era d’oro di carbone e gas rischia di accorciarsi comunque: il valore combinato dell’export potrebbe scendere da circa 130 miliardi di dollari nel 2025 a meno di 70 miliardi già nel 2030, e sotto 30 miliardi nel 2050 man mano che i clienti asiatici decarbonizzano.
In casa, poi, il taglio fino a -70 % chiede reti più forti, rinnovabili a ritmo elevato e interventi su miniere, trasporti e industria pesante. I numeri green promessi al mondo sono un cambiamento radicale: per un Paese che ha costruito PIL e occupazione sull’energia esportata, passare dal vendere fossili al produrre soluzioni pulite è una curva stretta ma inevitabile. 7 miliardi serviranno ad accendere i primi cantieri veri e ingaggiare il settore privato. Solo così l’Australia potrà proteggere crescita e lavoro prima che il mercato globale presenti il conto ai combustibili fossili.
Senza aspettarla.