Il caso della "Big Mermaid" riapre il dibattito sulla rappresentazione del corpo femminile: serve davvero un seno “accettabile” per poter essere esposto in pubblico?
© Dal Web
Nel 2025, una statua femminile viene rimossa da un luogo pubblico in Danimarca perché giudicata “troppo provocante”. La protagonista è la “Grande Sirena”, opera monumentale dello scultore Peter Bech, realizzata nel 2006 e collocata fino a pochi giorni fa al Forte Dragør, nei pressi di Copenaghen. Il problema? Un seno ritenuto “troppo grande” e un corpo non conforme ai canoni artistici classici.
Alcuni critici l’hanno definita “pornografica”, “brutta”, “volgare”. L’Agenzia danese per i Palazzi e la Cultura ne ha disposto la rimozione, ufficialmente per motivi di contesto architettonico. Ma il dibattito esploso sui media rivela un dato più profondo: la rappresentazione del corpo femminile continua a essere un terreno minato. E non solo in Danimarca.
Ogni volta che un’opera d’arte raffigura un corpo femminile fuori dagli schemi estetici dominanti, scatta una reazione di rigetto. La nudità non è più neutra: è filtrata, misurata, giudicata. L’episodio danese ne è la prova, ma non è un caso isolato. Lo ricorda anche Aminata Corr Thrane, curatrice culturale del quotidiano danese Berlingske, secondo cui la rimozione della statua si basa su un doppio standard: "Non è la nudità in sé a turbare, ma la sua proporzione. Serve davvero un seno “accettabile” per poter essere esposto in pubblico?". Una riflessione che apre un fronte ben più ampio sul body shaming, anche quando si parla di arte.
Il punto centrale non è la nudità, ma quale tipo di corpo può essere rappresentato senza generare scandalo. Un corpo femminile abbondante o curvy viene spesso bollato come eccessivo, provocante o inappropriato. Questo accade anche in contesti che dovrebbero essere più liberi, come l’arte pubblica. Secondo alcuni esperti, il corpo femminile viene spesso "disciplinato" dalla società: continuamente sotto osservazione, soggetto a controllo estetico e morale. La rimozione della sirena danese si inserisce perfettamente in questa logica di controllo.
Anche in Italia il dibattito non è nuovo. Nel 2023, a Monopoli (Bari), una statua realizzata dagli studenti dell’Istituto Artistico locale scatenò un’ondata di critiche per via delle sue forme considerate troppo formose. La statua, raffigurante una sirena curvy, fu accusata di essere inadatta a una piazza pubblica. E il fatto che anche una scultura realizzata a scopo artistico sia finita nel mirino delle polemiche conferma che il corpo femminile è ancora oggetto di valutazione sociale, soprattutto se si allontana dal modello sottile, giovane e “neutro” promosso sui social e sui media.
L'anno scorso un caso analogo è scoppiato a Milano. La Commissione di esperti del Comune, che ha il compito di valutare la posa di opere d'arte di spazi pubblici, ha dato parere negativo alla collocazione in piazza Duse, nella zona di Porta Venezia, di una statua in bronzo che rappresenta la maternità, con una donna che allatta il suo bambino, perché "non rappresenterebbe valori condivisibili da tutti i cittadini e cittadine". Il risultato? La Commissione ha chiesto che fosse donata a un istituto religioso.
Oltre alla censura delle forme, va considerato un altro dato: le donne sono ancora fortemente sotto rappresentate nell’arte pubblica. Una ricerca del 2024 condotta dal Ministero della Cultura danese ha evidenziato che, a Copenaghen, su 321 statue pubbliche solo 31 raffigurano figure femminili reali. Il resto sono personaggi mitologici o simbolici, spesso filtrati attraverso un’estetica idealizzata.
Una situazione analoga si riscontra in molte città europee, comprese quelle italiane. Il corpo femminile, dunque, è doppiamente penalizzato: presente solo se conforme a certi canoni, e spesso del tutto assente nella memoria collettiva. Questo vuoto rappresentativo ha effetti concreti sulla percezione sociale del ruolo delle donne.
Nel 2025, la discussione sulla rappresentazione del corpo femminile sembra ferma a un secolo fa. Nonostante i progressi nel dibattito pubblico, le donne continuano a dover giustificare la loro presenza visiva, persino in forma artistica. Il corpo femminile resta un campo di battaglia simbolico: giudicato, censurato, rimosso.
Che si tratti di una statua in un forte danese o di una sirena in una piazza italiana, la questione è sempre la stessa: chi decide cosa può essere mostrato? E perché solo il corpo delle donne viene discusso così ossessivamente? Finché l’arte sarà condizionata dal pudore selettivo e dal conformismo estetico, la libertà di rappresentare – e rappresentarsi – resterà un diritto ancora incompleto.