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Carenza di personale e competenze nel mondo della ristorazione, la questione nelle voci di presidi e chef: "Ecco come motivare le nuove generazioni"

Abbiamo sviscerato l'argomento, partendo dai motivi e arrivando alle possibili soluzioni, con i dirigenti scolastici Luigi Costanzo, Maria Venuti e Brizio Campanelli e con gli chef Tommaso Arrigoni e Daniele Persegani

Carenza di personale e competenze nel mondo della ristorazione, la questione nelle voci di presidi e chef: "Ecco come motivare le nuove generazioni" - foto 1
Istockphoto

Con le Feste, si è riacceso un dibattito che ormai catalizza l'attenzione da anni: quello sulla mancanza di personale nel mondo della ristorazione.

Un problema grave per un ambito strategico e fondamentale del nostro Paese, che si lega a un'altra questione critica: la carenza di addetti qualificati nel settore. Le nuove generazioni non sono abbastanza attratte da questo mondo? Perché? Abbiamo sviscerato l'argomento - partendo dai motivi e arrivando alle possibili soluzioni - con professionisti che ogni giorno hanno a che fare con le nuove leve nella teoria (Luigi Costanzo, dirigente scolastico dell'Istituto Professionale Servizi per L'Enogastronomia e l'Ospitalità Alberghiera Amerigo Vespucci di Milano, Maria Venuti, dirigente scolastica del Polo Professionale di Cassino I.I.S. San Benedetto, a Cassino, in provincia di Frosinone, e Brizio Campanelli, dirigente scolastico dell'Istituto Superiore Guido Galli di Bergamo, di cui fa parte l'indirizzo alberghiero Vittorio Cerea Academy) e nella pratica (gli chef Tommaso Arrigoni e Daniele Persegani, di, rispettivamente, Innocenti Evasioni Milano e Gustincanto).

 

I motivi - "Purtroppo il settore manca di appeal sulle nuove generazioni. Abbiamo vissuto una piccola epoca di boom grazie ai programmi televisivi sul tema, attraverso i quali le nuove leve si erano avvicinate al mondo della ristorazione, ma è stato un fuoco di paglia. Ad oggi, il problema della carenza di personale esiste ed è molto grave perché non troviamo addetti, non abbiamo nessun tipo di fonti alle quali attingere, e il Covid sicuramente non ha aiutato", dice Arrigoni.

Per lo chef influenzano gli orari, il fatto che si lavori nei weekend e la paga bassa soprattutto agli inizi. "Questo è un lavoro artigianale e come tutti i lavori artigianali si fa con l'esperienza. Purtroppo, il periodo di gavetta esiste, però è anche una professione che dà la possibilità di crescere e che dà soddisfazioni molto in fretta. Questo i ragazzi di oggi non lo capiscono. Sono abituati ad avere tutto subito. Ma nel mondo del lavoro questo, purtroppo, non succede. Chi si approccia a questo mestiere deve avere un po' di pazienza, costanza, spirito di sacrificio. Nessuno regala nulla. È un lavoro dove ci vogliono tanta passione e impegno". Tuttavia, per lo chef, la crisi in questione è dovuta anche "alla mancata evoluzione del mondo della ristorazione".

 

"Si tratta di un settore che richiede il sacrificio di lavorare quando gli altri sono in ferie o a casa. È sempre stato così, non è una novità. Purtroppo, però, le tendenze e le esigenze dei giovani sono cambiate: non vogliono lavorare la sera, il sabato e la domenica". Per quanto riguarda le paghe, "i ragazzi che sono bravi, professionali e professionisti non prendono uno stipendio bassissimo, hanno incentivi e benefit. Non è vero che il personale non viene pagato, io posso dire l'esatto contrario. Bisogna vedere le capacità dei singoli. Se un addetto non ha mai fatto esperienza e sono io a doverlo formare, è chiaro che non renda come una persona in grado di svolgere il lavoro autonomamente. Quindi è anche normale che la sua paga sia leggermente più bassa", sottolinea Persegani.

 

Tra i problemi evidenziati c'è anche la questione turnover: "Si tratta di impieghi che ti permettono di scegliere dove lavorare (purtroppo per chi è ristoratore e per fortuna per chi invece è operatore). Faccio un esempio, se un addetto si stanca di svolgere la sua professione al mare e decide di farlo in montagna può trasferirsi in qualsiasi momento perché l’offerta c'è", aggiunge lo chef.

 

Calo delle iscrizioni agli alberghieri - La carenza di personale è strettamente legata al calo delle iscrizioni agli alberghieri. "Dirigo istituti alberghieri da dieci anni, i primi cinque anni presso l'Istituto Superiore San Pellegrino di San Pellegrino Terme e da 5 anni a questa parte presso la Vittorio Cerea Academy. Nel 2015, al San Pellegrino contavamo 13 prime, quindi più di 200 alunni iscritti. Attualmente, la Vittorio Cerea Academy ha 6 prime. Questo è dovuto al fatto che nel 2015, grazie alle trasmissioni tv, l'appeal verso il settore era altissimo. Invece, negli ultimi anni, si sta assistendo a una tendenza di abbandono degli istituti professionali in generale e, conseguentemente, anche dell'alberghiero a vantaggio degli istituti tecnici, ma soprattutto dei licei. Nelle iscrizioni alla scuola superiore dell'anno passato, secondo dati statistici ufficiali del ministero, soltanto l'11% degli studenti ha scelto gli indirizzi professionali e, di questo 11%, il 4% circa gli alberghieri", commenta Campanelli. Anche per il dirigente scolastico sull'appeal del mestiere impattano le condizioni di lavoro e la paga spesso non adeguata.

 

Campanelli, come Arrigoni, evidenzia inoltre come il Covid abbia influenzato la crisi in questione: "Ha fatto riscoprire il bello di stare a casa. Anche se, per dare un segnale positivo, ho notato che ad abbandonare sono stati soprattutto quegli studenti che si approcciavano all'alberghiero senza una particolare motivazione, magari perché aveva la fama di essere una scuola facile, cosa che naturalmente non è. Quindi, meno studenti, ma mediamente più motivati", chiosa il dirigente scolastico.

 

Per Costanzo "il settore manca di appeal anche perché nei confronti degli istituti alberghieri non c'è un'attenzione adeguata da parte dei grossi chef. È difficile che questi ultimi vengano per fare qualche attività o a reclutare. Nel complesso, però, ci sono tantissime richieste di lavoro e molte volte i nostri studenti restano all'interno delle strutture dove fanno lo stage".

Il senso di precarietà - Venuti aggiunge un elemento importante al tema: il senso di precarietà. "Il mondo della ristorazione viene visto negli ultimi tempi, soprattutto post Covid, come una realtà precaria: i giovani non sono tanto demotivati relativamente al contesto in sé o mancano di passione quanto piuttosto dal fatto che possono essere precari per tanto. Fino a qualche tempo fa, la famosa gavetta serviva per poi creare qualcosa di proprio. Adesso, per quello che noi percepiamo, i giovani non credono più in questo futuro. Bisogna dunque far capire loro - e noi questo lo facciamo - che il precariato è un dato di fatto nell'attuale società, che devono entrare nell'ottica che si può cambiare lavoro, il rimettersi in gioco oggi è fondamentale".

 

"Dall'altra parte, va anche sottolineato che si tratta di lavori usuranti, impegnativi, che richiedono sacrificio e anche, spesso, un allontanamento da casa. Penso ai miei studenti di Cassino. I ragazzi possono sicuramente trovare occupazione nella nostra zona, ma nella maggior parte dei casi tendono ad andare via, a fare esperienze fuori e poi tornare. Mentre prima tutto ciò era agevolato da affitti e utenze accessibili, adesso è più complicato. Quindi, magari si tende a non muoversi o comunque ad avere il timore di farlo e si preferisce la stagionalità. Ma tutto questo genera, appunto, un senso di precarietà. Questo è quello che emerge soprattutto nei ragazzi del quarto e quinto anno - nota Venuti -. Accanto a tutto ciò c'è anche il fatto che all'inizio, in alcune realtà, i ragazzi potrebbero essere sottopagati. Anche questo scoraggia molto. Quindi, ognuno deve fare la propria parte: ristoratori, scuola e istituzioni. Mettiamoci in discussione e cerchiamo tutti di superare queste criticità, altrimenti, negli anni futuri, andremo incontro a un calo di iscrizioni anche maggiore".

 

La mancanza di personale qualificato - L'altro problema a cui accennavamo è quello della carenza - anche - di personale qualificato. Approfondiamo, dunque, il tema delle competenze. La formazione è adeguata o no? "Per quanto mi riguarda, negli istituti alberghieri la formazione è adeguata perché il piano di studi è coerente con le richieste del mercato e le esigenze anche tecnologiche del settore. Tanto è vero che, di recente, le scuole sono state dotate di laboratori nuovi grazie ai fondi Pon. Gli istituti possono ora contare su attrezzature ecogreen, sostenibili, di ultima tecnologia così che i ragazzi, una volta usciti dalle classi, siano capaci di utilizzarle", dichiara Persegani.

"Il mondo della scuola deve cambiare perché gli istituti alberghieri non danno la giusta formazione e non riescono ad attrarre i ragazzi. Probabilmente, dovrebbero avvalersi anche di professionisti seri esterni che facciano dei corsi integrativi all'interno degli istituti, però per fare questo ci vogliono fondi", evidenzia, invece, Arrigoni, che poi aggiunge: "Andare avanti negli studi da una parte può essere utile per la cultura ma dall'altra è poco utile per la pratica. Quei pochi che fanno la scuola alberghiera, alla fine del quinto anno, invece di andare a lavorare si iscrivono all'università e, una volta terminata quest'ultima, fanno o cercano lavori che sono legati al mondo del cibo, ma che non sono di manovalanza all'interno di un ristorante. Dunque, si creano dei giornalisti, critici ed esperti gastronomici, però, poi, nei ristoranti servono cuochi, non laureati in Scienze dell'alimentazione".

 

La parola alle scuole - "Ci sono due tipi di formazione all'interno dell'istruzione professionale: quella relativa alle competenze di base, fondamentali per 'creare' cittadini consapevoli, e quella legata alle competenze tecnico-professionali, che sono quelle di sala, cucina e pasticceria. Queste ultime vengono fornite, ma, ovviamente, non in modo completo. Le ore di laboratorio a scuola sono 5-7 a settimana a seconda della classe e quindi chiaramente non sono sufficienti per formare. Dunque, le competenze devono essere rafforzate durante il tirocinio, quando si va a lavorare oppure facendo una formazione post diploma di qualità", è la disamina di Costanzo.

 

"Dalla riforma del 2010 e poi da quella del 2017, lo scenario scolastico è cambiato. Primo, perché si sono ridotte di molto le ore di pratica. Secondo, perché l'assunzione dei docenti di laboratorio segue gli stessi canali dei supplenti di lettere, matematica, ecc. Per cui, teoricamente, una persona, dopo aver fatto i suoi cinque anni di scuola, si inserisce nelle graduatorie e, pian piano, arriva a fare delle supplenze anche con esperienza lavorativa zero. Prima, invece, i docenti erano dei semi-professionisti. Consci del fatto che la preparazione ordinaria può arrivare fino a un certo punto, noi, al di là del Pcto, promuoviamo stage durante le vacanze di Natale, di Pasqua e in estate", illustra Campanelli.

 

"Le ore che gli istituti professionali devono dedicare all'alternanza scuola-lavoro sono tante e non vanno sprecate, ma utilizzate collaborando con eccellenze del territorio. Poi sono importanti anche il ristorante e il bar didattici. La scuola deve essere un luogo aperto all'esterno, perché i ragazzi devono sentirsi parte integrante di una comunità", spiega Venuti.

 

Alcuni dati: quanti studenti, dopo la scuola, continuano a lavorare nel settore? - "Facendo un calcolo a spanne, un buon 65% dei nostri ragazzi resta nel settore, un 25-30% va all'università facendo altro oppure facendo formazione superiore coerente con il percorso di studi e un 10-15% fa altro", afferma Costanzo. "C'è un tendenziale calo delle persone che restano nel settore, capita che ci si ricicli in qualcosa di similare, magari con orari più comodi e con uno stipendio migliore", commenta Campanelli. "Per fortuna, nella mia scuola, quasi tutti continuano nel settore. Alcuni, non moltissimi, proseguono gli studi. Ma il 90%, forse anche il 95%, dei ragazzi trova lavoro nel settore per cui ha studiato", conclude Venuti.

 

Le possibili soluzioni - Alla luce di tutto ciò, cosa si può fare dunque per attrarre i giovani verso il settore della ristorazione? "Nella mia attività lavorano tanti ragazzi e li abbiamo motivati attraverso i turni: hanno un weekend libero al mese, un giorno e mezzo-due di riposo durante la settimana. Possono scambiarsi i turni. Insomma, sono molto liberi di gestire la situazione purché a noi venga garantito comunque il servizio. Inoltre, un giovane va incentivato mettendolo in un team di lavoro accogliente e coeso e non caratterizzato da diatribe e lotte interne. Va accolto e non isolato o messo da parte, altrimenti è ovvio che poi vada via", dice Persegani.

 

Per Arrigoni "il mondo della ristorazione e quello alberghiero dovrebbero evolvere. Evolvere vuol dire cambiare da un punto di vista pratico, anche proprio nel modo di organizzare il lavoro quotidiano. Perché oggi siamo abituati a svolgere la professione come facevano i nostri bisnonni. Io sto cercando di fare questa evoluzione nel mio piccolo, all'interno della mia azienda, ma non è facile, perché chiaramente sono una formica in una giungla", sottolinea lo chef.

 

"Bisognerebbe stare più attenti alle nuove generazioni, accompagnarle, sensibilizzarle già dal quarto-quinto anno di scuola verso il mercato del lavoro. Far capire loro quali sono i passaggi giusti da fare. Quindi, quali sono le paghe, dove si può arrivare, com'è il mestiere, quali sono gli orari. Attività di orientamento in uscita che, a mio avviso, andrebbero fatte più che dai miei docenti - che comunque le fanno - dalle imprese di ristorazione, dagli alberghi, dai bar di alto livello, dalle pasticcerie", è il pensiero di Costanzo.

 

"È necessario orientare meglio dalla scuola secondaria di primo grado. È un mondo difficile: noi cerchiamo di attirare con 'effetti speciali', far partecipare gli studenti al contest 'Menù Giovani Chef' di Cotto e mangiato, una trasmissione che ha una rilevanza mediatica importante, per esempio, sicuramente è di appeal", conclude Campanelli.

 

"Dobbiamo mettere in contatto gli studenti con le aziende, con giovani figure professionali che si sono messe in gioco. La scuola deve essere al passo con i tempi, avere laboratori innovativi e noi su questo stiamo puntando tantissimo. Dobbiamo fare in modo che i ragazzi siano competitivi. Un istituto professionale non è secondo a nessuno. Inoltre, dobbiamo portare i giovani, anche attraverso l'alternanza scuola-lavoro, a vivere realtà importanti. Questo aumenta in loro l'autostima, la motivazione e la consapevolezza che il loro è un percorso di eccellenza. Un altro aspetto che bisogna curare è arrivare ai ragazzi attraverso i loro linguaggi. Nella nostra scuola ci siamo inventati una sala di registrazione e quindi non solo gli studenti cucinano, ma registrano. Quando saremo pronti, inizieremo a caricare delle mini ricette sul nostro canale YouTube. Non si cucina soltanto, ma si racconta anche quello che si cucina e questo è fondamentale", chiosa Venuti.

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