una riflessione sulla privacy

Kiss cam e l'imbarazzo di Kristin Cabot: non sempre l’intrattenimento giustifica tutto

Nata come momento di leggerezza e spettacolo, questa trovata viene sempre più spesso messa in discussione: è davvero un gioco innocente o calpesta il diritto alla privacy e al consenso individuale? 

20 Dic 2025 - 07:34
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La kiss cam è sempre "solo" intrattenimento? Le ultime dichiarazioni di Kristin Cabot hanno riacceso il dibattito sull'utilizzo che viene fatto dalla "telecamera dei baci" negli eventi sportivi e musicali. Nata come momento di leggerezza e spettacolo, questa trovata viene sempre più spesso messa in discussione per le sue implicazioni etiche, sociali e persino legali. E' davvero un gioco innocente o calpesta il diritto alla privacy e al consenso individuale? Dietro sorrisi forzati e applausi di circostanza si nasconde un meccanismo tutt’altro che neutro.

Una scelta obbligata - La kiss cam espone persone comuni a un palcoscenico gigantesco, senza alcuna richiesta preventiva di consenso. In pochi secondi, individui anonimi diventano contenuto, spettacolo, meme potenziale. E se rifiutano di “giocare”, il pubblico spesso li punisce con fischi, risate o imbarazzo collettivo. Difficile chiamarla libera scelta. Coppie o presunte tali tra il pubblico, proiettandole su maxi-schermi e invitandole implicitamente a baciarsi davanti a migliaia di persone. Il tutto avviene in pochi secondi, senza preavviso e senza un consenso esplicito. Ed è proprio qui che nasce il problema. Come ha ricordato Cabot nelle sue recenti prese di posizione, l’esposizione pubblica non è mai neutra. Essere improvvisamente messi al centro dell’attenzione può generare disagio, imbarazzo o pressione sociale, soprattutto in contesti dove il “non baciarsi” diventa esso stesso uno spettacolo, spesso accompagnato da fischi o risate. 

Il presunto tradimento svelato dai Coldplay e la loro kiss cam

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Il rispetto della privacy è una aspetto anche giuridico? - Il problema non è solo culturale, ma giuridico ed etico. Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) stabilisce chiaramente che l’immagine di una persona è un dato personale e che il suo trattamento richiede una base giuridica adeguata, primo fra tutti il consenso esplicito. Lo ha ribadito più volte anche il Garante per la protezione dei dati personali, sottolineando come la diffusione di immagini in contesti pubblici non autorizzi automaticamente il loro utilizzo per finalità di intrattenimento o marketing. Eppure la kiss cam continua a operare in una zona grigia, approfittando dell’idea che “chi entra in uno stadio accetta tutto”. Una logica pericolosa, smentita anche dal Comitato Europeo per la Protezione dei Dati (EDPB), secondo cui il consenso non può mai essere implicito né estorto attraverso pressione sociale o asimmetrie di potere. Esattamente ciò che accade quando migliaia di occhi e una telecamera indugiano su di te, in attesa di un bacio.

La ricerca di figure stereotipate -  La kiss cam si fonda su presupposti antiquati e stereotipati. Presume che due persone sedute vicine siano una coppia, che desiderino manifestare affetto in pubblico, che aderiscano a un modello relazionale ben preciso. Chi esce da questo schema (amici, colleghi, persone queer, individui semplicemente riservati) viene messo in difficoltà o costretto a giustificarsi davanti a una folla. In un’epoca in cui istituzioni, scuole e aziende parlano sempre più spesso di consenso, spazi sicuri e rispetto dei confini personali, la kiss cam appare come un fossile culturale che sopravvive solo perché “si è sempre fatto così”. Ma la tradizione non è una giustificazione, soprattutto quando l’intrattenimento si costruisce sull’imbarazzo altrui. Le parole di Kristin Cabot non dovrebbero essere archiviate come l’ennesima polemica passeggera. Dovrebbero invece spingere organizzatori, broadcaster e sponsor a una domanda scomoda ma necessaria: è legittimo trasformare l’intimità non richiesta in spettacolo di massa?

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