il coraggio di raccontarsi

Da Enrica Bonaccorti a Fedez, quando condividere la malattia diventa un atto pubblico di solidarietà

Negli ultimi anni il rapporto tra Vip e problemi di salute, personali o familiari, è profondamente cambiato.  Una narrazione  importante, che contribuisce a un modello sociale per le altre persone malate

17 Nov 2025 - 12:05
 © Tgcom24

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Enrica Bonaccorti è solo l'ultimo personaggio famoso, in termini temporali, a scegliere di parlare pubblicamente della malattia. Negli ultimi anni, infatti, il rapporto tra Vip e problemi di salute, personali o familiari, è profondamente cambiato. Se un tempo prevaleva il riserbo quasi assoluto, oggi sempre più figure dello spettacolo scelgono di raccontare apertamente ciò che accade “dietro le quinte” delle loro vite: diagnosi difficili, terapie, cadute di tono, paure. Una narrazione che contribuisce a un modello sociale per le altre persone malate. La gente comune, vedendo una figura autorevole non nascondersi, può sentirsi più autorizzato a condividere, aprirsi, cercare aiuto, superando la stigmatizzazione che circonda, ancora, le persone malate.

Bonaccorti, Giorgi, Fedez - L’ultima a entrare in questo spazio di fragilità condivisa appunto è Enrica Bonaccorti, che ha parlato senza filtri del tumore al pancreas che l’ha colpita e che, come lei stessa ha rivelato, non è operabile. La scelta però non è stata immediata: Bonaccorti ha vissuto mesi di silenzio, quasi di ritiro, prima di comprendere che condividere la malattia poteva essere non solo un modo per alleggerire il proprio percorso, ma anche un gesto di utilità sociale. Prima di lei Eleonora Giorgi ha raccontato pubblicamente la sua malattia, lo stesso tipo di tumore che oggi colpisce Bonaccorti, partecipando a programmi televisivi anche durante le cure. La sua testimonianza è stata intensa, diretta, profondamente umana: un monito a vivere, nonostante tutto, con sincerità. Anche Fedez ha scelto di rendere pubblico il suo tumore neuroendocrino del pancreas, mostrando i momenti più vulnerabili: l’operazione, la riabilitazione, i timori. La sua apertura ha sensibilizzato un pubblico molto giovane. Andando indietro nel tempo impossibile non ricordare Nadia Toffa: ha trasformato la sua lotta contro il cancro in un racconto pubblico che ha segnato una generazione. La sua volontà di “dire tutto” ha aperto un dibattito sulla dignità e sulla libertà di condividere anche la sofferenza. E c'è anche chi, come Elena Santarelli, ha condiviso il percorso di malattia del figlio, affrontando con trasparenza un dolore familiare. Da quel momento è diventata attivista per la ricerca, fondendo testimonianza e impegno.

La rottura di un tabù -  La decisione di Bonaccorti di condividere la sua malattia ha un valore che va oltre il privato: rompe un tabù, invita a parlare, dà visibilità a chi lotta nella solitudine. In Italia (e non solo) spesso si fatica a parlare apertamente delle malattie gravi, per paura, per pudore o per non voler spaventare. Il sociologo Erving Goffman ha definito il concetto di stigma (“macchia sociale”) come un attributo discreditante che può "rovinare"  l’identità sociale di una persona. Secondo Goffman, chi ha uno stigma può scegliere di celarlo o di gestirlo attivamente con strategie di presentazione di sé. Nel caso delle celebrità che rivelano la loro malattia, c’è un rovesciamento: non più nascondere, ma esporre lo stigma , trasformandolo in parte della loro identità pubblica. Questo gesto può essere interpretato come una forma di “resistenza sociale”: svelare la malattia è un modo per rinegoziare l’identità stigmatizzata, rivendicando una dignità diversa.

Il valore della condivisione - Raccontare il dolore non lo dimezza, ma lo rende comunicabile.E nella comunicabilità si crea comunità: affetto, riconoscimento, sostegno. La testimonianza pubblica diventa un ponte tra chi ha visibilità e chi vive la stessa esperienza nel privato. Nelle parole della Bonaccorti e di tutti i Vip che si sono esposti non c’è eroismo, ma un nuovo tipo di coraggio: quello della verità. La loro voce dimostra come la malattia, quando viene narrata con dignità, può diventare non solo dolore ma anche relazione, condivisione, comunità. Perché la malattia è una delle poche esperienze realmente universali. Quando un volto noto decide di parlarne, crea un effetto domino: abbatte la solitudine, normalizza la fragilità, stimola la prevenzione, rafforza l’idea che chiedere aiuto non è debolezza. E per molte persone, vedere che anche chi è abituato alla luce dei riflettori affronta terapie, cicatrici, paure, rappresenta una forma di conforto e di rispecchiamento.