Una tra le penne più influenti della scena musicale italiana, apre un nuovo capitolo con un album che celebra la bellezza del cambiamento
di Francesca Fiorucci© Ufficio stampa
Federica Abbate, tra le penne più influenti della scena musicale italiana, apre un nuovo capitolo con "Tilt". Dopo aver scritto per i più importanti nomi della musica italiana, come Elodie, Emma, Fedez, Geolier, Laura Pausini, Irama, Rocco Hunt e Giusy Ferreri, sceglie di mettere al centro la propria voce e la propria visione con una decina di canzoni pensate per rispondere all'esigenza di rinnovarsi e ritrovare la propria forma più autentica. "Un momento di blackout in cui mi sono chiesta: 'Ma Federica cosa vuole fare, chi vuole essere?'" ha raccontato a TgCom24. E da lì la spinta a rinnovarsi, senza la paura di lasciare indietro qualcosa per ritrovare una parte di sé. "Il tilt, che è un black-out, un salto nel vuoto… Chiaramente si passa dal dolore, ma dopo c'è la tua vera forma", ha spiegato.
Fedrica, sei una tra gli autori più importanti e maggiori hit-maker di questo periodo, gli altri sono uomini. Come ti fa sentire?
Non l'ho mai trovato strano. Quando ho iniziato ero giovanissima e non me ne sono accorta immediatamente. Avevo 22 anni e mi sono trovata a collaborare con tantissimi uomini, ma all'inizio non ci ho mai pensato e non mi ha creato dei problemi. Nel momento in cui dai dimostrazione di riuscire a scrivere delle belle canzoni e metti sul tavolo qualcosa di insindacabile, non c'è un discorso di femmina o maschio. L'unica cosa che mi sono sentita dire è il discorso che, essendo femmina, non sarei riuscita a scrivere per un uomo. In realtà ho scritto tantissimo per i maschi. Anche per una questione culturale, le donne arrivano un po' più in ritardo nell'arte. Oggi man mano si stanno moltiplicando le donne che scrivono e che fanno lavori in cui la presenza femminile era in secondo piano. E' un risultato meraviglioso che stiamo ottenendo nel tempo.
Hai mai avuto o continui ad avere la sensazione di aver dovuto lavorare di più per ottenere lo stesso risultato, solo per il fatto di essere donna?
All'inizio, ma non particolarmente. Tanto quanto una qualsiasi persona che arriva in un ambiente nuovo e deve dimostrare qualcosa. Forse ho dovuto dimostrare di più? Probabilmente sì ma non me ne sono accorta. Ero talmente concentrata a fare il mio che non mi sono fatta questo tipo di problema.
Prima hai fatto riferimento al fatto che hai scritto molto anche per uomini. Come cambia il tuo approccio, se cambia, nello scrivere per un uomo o per una donna?
Legato semplicemente al range vocale di una persona: una donna ha un range vocale più acuto e un uomo più grave. Stai attento a questo tipo di cose. Poi conoscendo la persona, sai cosa uno può fare e cosa non può fare. Un po' come un sarto, prendi le misure. Poi c'è una valanga di canzoni che uno magari pensa per una donna e poi le canta un uomo o viceversa. Chiaramente fai un leggero aggiustamento ma a livello di storytelling, ormai tendenzialmente quello che racconti è di una donna forte e resiliente. Non sei più la donna che si dispera o è vittima, è una bella donna quella che si racconta, una figura che cresce sempre più luminosa e forte. Che è anche quello che racconto nel mio pezzo.
Quando scrivi per altri, come entri nel loro mondo?
Non entro nel loro mondo. Io scrivo e questo mondo viene calato nei panni di qualcun altro. Spesso c'è prima la scrittura, che poi viene data a questo o a quell'altro. La creatività deve essere libera. Scrivo e quando una canzone è bella, è bella.
A Sanremo ben sei delle canzoni in gara (sette se si conta Emis Killa) avevano la tua firma. Ce n'era una a cui tenevi un po' di più?
No, assolutamente. Tutte le canzoni che scrivo sono figlie mie. Quelle a cui tengo di più sono quelle che tengon per me. Hanno un carattere più viscerale perché sono frutto di qualcosa di molto mio e quindi hanno chiaramente un valore emotivo altissimo.
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Già con "Canzoni per gli altri" hai iniziato a scrivere per te. Come è nata questa esigenza e come è avvenuto questo processo?
E' stato un passaggio abbastanza graduale. Per fare un cantautore ci vuole un botto di tempo. Fare un progetto "sul mercato" è più semplice perché chiaramente prendi dei bei pezzi, prendi una persona che ha dei numeri, e il risultato è ottimo. Io ho dovuto maturare cosa volevo scrivere per gli altri, poi cosa volevo scrivere per me e capire esattamente come volevo dirlo, cosa volevo essere e comunicare. E' stato un percorso abbastanza lungo. "Canzoni per gli altri", che è il mio primo disco, è un po' il momento di passaggio. Io ho questa doppia anima, perché devo fingere di non averla? E' strano perché in Italia la figura dell'autore che canta è vista come controversa, invece in America è una cosa bella. Se una persona sa scrivere, sa dire le cose, viene visto come un plus. Invece che negare questa mia doppia anima ho scritto queste canzoni che hanno mondi diversi e che canto con alcuni miei colleghi. Però finita questa esperienza mi sono detta: adesso devo tirare fuori le palle, e arriva il tilt. Un momento di blackout in cui mi sono chiesta: "Ma Federica cosa vuole fare, chi vuole essere?". E da lì nasce questa decina di canzoni. Mi chiudo in studio con Cripo che è un ragazzo giovanissimo e brillantissimo, un genietto della musica che fa il produttore. Mi metto a intrappolare quel tipo di creatività che in quel momento avevo, che poi cambia. Nel momento in cui avevo capito cosa volevo fare, mi sono messa a farlo e ho tirato fuori una serie di canzoni che hanno lo stesso approccio. "Tilt" per me era quella perfetta per iniziare, per raccontare l'inizio di qualcosa di nuovo.
Il tilt è una cosa che fa paura o che stimola?
E' entrambe le cose. Tante volte abbiamo paura del tilt nella vita. Stiamo in delle forme ma questa forma magari cambia, non ti ci senti più bene. Magari hai una situazione sentimentale, lavorativa, o è un capitolo della tua vita in cui all'inizio è tutto ok, ma man mano che passa il tempo puoi renderti conto che ti senti costretta. A quel punto sei a un bivio: ti costringi a restare, ma un pochino muori dentro perché utilizzi la tua energia per stare a galla. Oppure c'è il tilt, che è un black-out, un salto nel vuoto, il lasciare indietro un pezzo di te, o una persona. E' un troncare qualcosa e chiaramente si passa dal dolore. Ma dopo c'è la luce. Ti riappropri di una forma nuova. Poi di tilt ne arriveranno altri, perché si continua a cambiare. Non si dovrebbe aver paura della paura, perché dopo che hai affrontato il dolore della rottura di quella forma, c'è la tua forma autentica.
Cos'è che ti manda in tilt?
In questo momento il mio progetto artistico mi manda in tilt. Comunque è un insieme di entusiasmo gigante, di adrenalina ma anche di paura. Tutte le cose a cui tieni ti fanno paura, ma la paura ti rovina anche un po' la vita. In questa nuova fase della vita e di questo nuovo progetto, che vanno a braccetto perché io sono quello che scrivo e scrivo quello che sono, mi sono detta: "Andiamoci dentro a questo tilt". E alla fine viene tutto naturale.
Quindi il tuo consiglio è buttarsi a capofitto nelle cose e crederci fino alla fine?
Sì, ma farlo con coscienza. Lo fai quando ti senti preparato per farlo, se no ti schianti. La soluzione non è accontentarsi, ma manifestare che sei vivo. Se no muori lentamente se continui a restare ancorato a una forma che non ti appartiene.
All'apparenza "Tilt" è una canzone d'amore, ma in realtà parla d'altro...
Assolutamente sì. Ho semplificato tutto quasi rivolgendomi a una persona, ma c'è un riferimento ben più ampio alla vita in generale.
Ora quali sono i nuovi progetti?
Io porto sempre avanti le mie due anime, scrivo in generale e poi alcune canzoni decido di tenerle e altre di darle. In questo momento c'è tanto il desiderio di portar fuori una cosa vera e bella come questa e di vivermela perché è qualcosa a cui lavoro da tempo ed è stato anche impegnativo per me man mano mettere a fuoco me stessa per portare all'esterno la mia musica. Comunque implica il fatto che tu debba essere una persona forte, luminosa e a fuoco per avere modo di riuscire a comunicare certe cose agli altri nel modo giusto.
A proposito della scelta tra le canzoni da tenere e quelle da dare a cui facevi riferimento, come avviene la scelta e come ti fa sentire il lasciare ad altri i tuoi brani?
Io tendenzialmente adoro dare. Ho iniziato facendo questo, come persona amo più dare che ricevere, mi piace il fatto di regalare a qualcun altro qualcosa che non riesce a tirare fuori o a spiegare. Mi piace molto anche la collaborazione. In quanto artista ho una mia identità vocale e a livello di immaginario. Oppure banalmente ho delle cose mie personali da dire. Prendi un concetto come "Tilt", spiegato in questo modo. Sono proprio io, sono i discorsi che faccio negli ultimi mesi alle mie amiche. Ci sono passata dal tilt, è una cosa che sento, e quando senti qualcosa in maniera così forte e cristallina, dici la verità con le tue parole e se lo dice qualcun altro diventa quasi una bugia. Nasce così l'esigenza di tenermi determinate cose anche perché la melodia è mossa anche in un modo in cui le voci di altri non la renderebbero bella così. La mia voce dà un calore e un colore che altre non darebbero. Ci sono canzoni che io provino, le canto e le scrivo, e ti rendi conto che la mia voce è fuori luogo. Poi le cantano altri e prendono proprio una luce diversa. Per esempio io una canzone come "Amore e capoeira" non potrei mai cantarla, non è nelle mie corde. Ma è una canzone meravigliosa.