Al Teatro Franco Parenti dal 12 al 22 giugno

Ambra Angiolini è "La Reginetta di Leenane": "Siamo tutti isole, pieni d'amore... ma anche di odio"

L'attrice, reduce del grande successo di "Oliva Denaro" torna in scena accanto a Ivana Monti in uno spettacolo tratto da un testo di Martin McDonagh

11 Giu 2025 - 15:53
 © Ufficio stampa

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Ambra Angiolini è "La Reginetta di Leenane" nello spettacolo, in scena al Franco Paarenti di Milano dal 12 al 22 giugno, tratto dal primo grande successo del pluripremiato autore angloirlandese Martin McDonagh, che debutta in prima nazionale con la regia di Raphael Tobia Vogel. Accanto a lei Ivana Monti, una delle interpreti teatrali più autorevoli della scena italiana, Stefano Annoni e il giovane Edoardo Rivoira. "Testo travolgente, che sotto una cortina da thriller nasconde un dramma", racconta il regista: "E' la storia di un rapporto asfissiante, quasi sadomaso, tra madre e figlia, le quali si scambiano i ruoli di potere, vittima e carnefice, in un contesto segnato dall’isolamento, dalla povertà e da legami familiari profondamente corrosi...".

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Siamo tutti isole

  Ambientata negli anni 90, nel villaggio di Leenane, una remota comunità della Contea di Galway affacciata sull’Atlantico, la pièce vede come protagoniste Maureen, la figlia (Ambra Angiolini), Mag, la madre (Ivana Monti), Patrick (Stefano Annoni) e Ray (Edoardo Rivoira). "Maureen e Mag vivono circondate dal mare e sono come due isole, che non sanno più accarezzarsi e nemmeno si toccano più", spiega Ambra Angiolini, che dopo il grande successo di "Oliva Denaro" torna a calcare il palcoscenico del Franco Parenti con un altro testo contemporaneo. "Siamo in fondo tutti isole, quando ci si sente con l'acqua addosso, quando si è pieni di amore, ma anche di odio e allora il tema della salute mentale diventa prepotentemente attuale", aggiunge l'attrice che sottolinea l'importanza di portare a teatro testi contemporanei: "Da giovedì portiamo in scena la contemporaneità. Parliamo del mondo d’oggi, una cosa che in pochi fanno nella nostra professione. Vogliamo trasmettere principalmente l’emotività. Leenane è uno stile di vita. È un modo di stare su questa Terra".

L'abuso d'amore

  "La Reginetta di Leenane" è una tragedia quotidiana, impastata di humour nero, solitudine e crudeltà repressa. Un dramma che scava nelle ferite dei legami familiari, nella paura di restare soli, nel senso d’immobilità di chi vive in un mondo dove nulla cambia, se non in peggio. "Ci sembrava che questo tema fosse attuale, un tema che dovrebbe essere discusso: quali sono le linee rosse da non oltrepassare, quando si arriva all'abuso di amore? Quando non ci si riesce più a controllare? L’opera parla di un amore accantonato, che fa percepire le frustrazioni personali. Un amore che prova a delineare delle linee rosse da non oltrepassare. Un abuso di amore, soprattutto mentale, con i protagonisti incastrati dentro la loro anima e costretti a scivolare in un burrone personale infinito", aggiunge Ambra. 

I legami familiari tossici

 Al centro, un tema disturbante e drammaticamente attuale: la violenza psicologica all’interno della famiglia, il luogo che per eccellenza dovrebbe proteggere. McDonagh non mostra mai il colpo, ma lascia che siano le parole, i silenzi e le abitudini tossiche a scavare voragini emotive. La dipendenza – dalla madre, da un’idea d’amore, da un bisogno mai nominato – diventa gabbia.
Ma il dramma si spinge oltre, evocando una riflessione più ampia: quando le parole falliscono, quando l’intimità diventa prigione e il dolore non trova altra via d’uscita, la violenza – anche la più estrema – s’insinua come unica soluzione percepita.
Un meccanismo oscuro che risuona, inquieto e familiare, nelle crepe del nostro presente.
McDonagh stempera questa tensione con un umorismo che fa ridere e poi raggelare, interrogando lo spettatore sul confine sottile tra amore e possesso, tra cura e dominio. Una storia di donne che si feriscono, perché nessuno ha insegnato loro ad amarsi senza distruggersi.

La trama

 Maureen Folan ha quarant’anni e vive da sempre con l’anziana madre Mag in una casa isolata tra le
colline della Contea di Galway nell’Irlanda rurale degli anni Novanta, immobile e senza prospettive.
Il loro legame si è trasformato in una prigione emotiva fatta di dipendenza, silenzi e piccoli ricatti quotidiani. Mag è fragile e manipolatrice, Maureen aspra e sola: la loro convivenza è un meccanismo doloroso e crudele che si ripete identico giorno dopo giorno.
Il ritorno in paese di Patrick Dooley, vecchia conoscenza di Maureen emigrato in Inghilterra, apre alla donna uno spiraglio: la possibilità di una vita nuova, lontana da quella casa. Mag, incapace di accettare il possibile abbandono da parte della figlia e la solitudine, agisce con strategica crudeltà: una lettera nascosta, una verità taciuta e una speranza infranta scatenano un lento scivolamento verso l’abisso, dove la vicinanza diventa veleno e il rancore si trasforma in rabbia feroce.
Nello spazio claustrofobico di quella casa, Martin McDonagh costruisce una tensione costante, fatta di gesti minimi e parole taglienti, dove ogni personaggio si muove sul confine ambiguo tra l’essere vittima e carnefice.

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