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La crisi dei microchip | Guarda la diciottesima puntata di "Fatti e Misfatti d'Europa"

L'approfondimento settimanale, realizzato in collaborazione con il Parlamento europeo, è andato in onda martedì 18 maggio. Ospiti del diciottesimo appuntamento Fabio Massimo Castaldo, Gilberto Pichetto Fratin e Antonio La Rosa

Dai computer ai telefoni, dalle auto ai frigoriferi. Li troviamo praticamente ovunque. Una vera e propria materia prima che a causa del boom di richieste di oggetti elettronici durante la pandemia inizia a scarseggiare. Non solo. L’emergenza Covid ne ha rallentato la produzione. Sono i semiconduttori. Oggi il mercato dei microchip, che vengono prodotti principalmente a Taiwan e in Corea del Sud, è vastissimo. Si tratta di un settore da 500 miliardi di dollari. E’ proprio la crisi dei microchip il tema della nuova puntata di "Fatti e Misfatti d’Europa", il programma di Tgcom24 realizzato in collaborazione con il Parlamento europeo. Ospiti del diciottesimo appuntamento Fabio Massimo Castaldo, vicepresidente del Parlamento europeo, Gilberto Pichetto Fratin, viceministro allo Sviluppo economico, e Antonio La Rosa, Country Manager di Motorola Italia.
 

Il caso della Lpe di Baranzate (Milano) - C’è un luogo simbolo in Lombardia che è diventato un po’ il centro nevralgico della vicenda per quanto riguarda il nostro Paese: la Lpe di Baranzate (Milano), azienda attiva nel settore dei semiconduttori con 70 dipendenti e un fatturato di circa 27 milioni di euro che vende quasi all’80% nel mercato cinese. Il 31 marzo, infatti, il governo ha bloccato l’acquisizione da parte dei cinesi della Shenzen Invenland Holdings dell’azienda. “Ci siamo trovati sotto i riflettori Golden Power per un paio di settimane senza che ce lo aspettassimo. Credo sia stata una decisione più di natura geopolitica che non specifica al caso Lpe”, spiega ai nostri microfoni l’amministratore delegato Franco Preti


“La cosa più evidente negli ultimi 15-20 anni è stata la quantità di risorse che i cinesi hanno messo a disposizione delle loro aziende per sviluppare i semiconduttori. Noi, proprio sul mercato cinese, abbiamo avuto delle cattive esperienze perché dei concorrenti hanno copiato i nostri prodotti. Abbiamo cercato di far valere i nostri diritti perché i nostri brevetti erano concessi in Cina ma ci siamo scontrati con una serie di azioni di disturbo create dalle società cinesi. Quando un tribunale cinese o un ufficio brevetti cinese deve decidere se dare ragione a una società cinese o una italiana potete facilmente capire che normalmente decide di proteggere la prima”, aggiunge Preti.


Perché si parla di crisi dei microchip? - Preti spiega che “il mondo occidentale ha trasferito gran parte della propria produzione in Asia - Taiwan, Corea, Cina - e devo dire che i governi locali, principalmente in questi Paesi, hanno capito l’importanza dei semiconduttori e hanno investito perché nascesse una filiera produttiva asiatica. Adesso ce ne stiamo accorgendo, ce ne siamo accorti, per cui stiamo pensando di riportare la produzione negli Stati Uniti oppure in Europa. L’importante è che ci siano degli investimenti di dimensione paragonabile a quelli che fanno gli asiatici, diversamente sarà difficile contrastarli". 


“La pandemia ha svelato queste verità che poi erano in buona sostanza evidenti agli addetti ai lavori, ma forse troppo superficialmente ignorate nel corso degli anni, come appunto il tema importantissimo della resilienza dei nostri sistemi e della nostra autonomia strategica. Ci ritroviamo di fronte alla sfida di garantire che l’Europa possa e debba essere anche una grande potenza produttrice di semiconduttori, ma al momento partiamo da un dato molto basso: da una quota di mercato di produzione che si aggira intorno a poco più del 10% - sottolinea Castaldo -. Evidentemente quindi è un po’ difficile coniugare l’ambizione di un decennio digitale se poi non possiamo garantire al 100% le nostre catene di approvvigionamento. Ancora più importante, c’è un tema di sovranità tecnologica europea condivisa ma anche un tema di perseguimento dell’autonomia strategica perché senza i microchip noi non siamo in grado di essere competitivi rispetto alle altre grandi potenze geopolitiche”. 


“Ecco perché siamo corsi ai ripari, forse tardivamente qualcuno potrebbe dire. E’ un bene che ce ne sia adesso piena coscienza da parte di tutti, anche da chi aveva magnificato l’idea del libero mercato dimenticando però che non tutti i player all’interno del libero mercato e anche del Wto giocano con le stesse regole. Per questo, l’Unione ha lanciato un piano, 2030 Digital Compass, con l’obiettivo di arrivare a raddoppiare entro i prossimi anni la produzione dei semiconduttori più avanzati tecnologicamente e per fare questo abbiamo messo a disposizione anche ingenti risorse, come il Next Generation Eu, che saranno direzionate a perseguire questo obiettivo che io reputo un obiettivo strategico fondamentale per l’Europa e per l’Italia. A parer mio, il premier Draghi ha fatto benissimo a utilizzare la Golden power per la vendita dell’Lpe, perché anche qui si tratta di impedire che si vadano a perdere dei know-how che poi non saranno più recuperabili. Adesso bisogna creare tutte le condizioni - e non solo gli investimenti - affinché la produzione torni fortemente anche all’interno del continente europeo”, aggiunge il vicepresidente del Parlamento Ue. 

 

“Ci accorgiamo giorno dopo giorno della necessità di avere un’autonomia europea (più che nazionale) - commenta Pichetto Fratin -. E’ necessario riuscire ad avere le filiere complete. Gli Stati Uniti ce lo stanno insegnando. L’Europa negli ultimi anni non ha tutelato completamente il proprio mercato e ce ne stiamo rendendo conto. Dall’altra parte, sulla questione microchip c’è da ricordare anche che la materia prima per il 40% si trova in Cina e per il 30% in Africa, e finora i due grandi produttori, quelli che hanno il 70%, sono a Taiwan e in Corea. Quindi si tratta di un discorso globale importantissimo. La carenza potrebbe fermare l’automotive, che in Italia dà lavoro a un milione e 200mila persone, e in generale l’economia moderna. Ecco che il ragionamento di avere le filiere complete diventa fondamentale. E’ un quadro difficile. Da parte del nostro governo c’è stato anche un impegno a sostenere una fabbrica di microchip a Catania. Questo è un passo avanti, ma il passo avanti deve essere europeo prima che nazionale”. 

 

La geopolitica della crisi - Con la pandemia, alcune aziende hanno bloccato le loro produzioni, ma in realtà la richiesta di microchip è aumentata e aumenterà ancora. Tanto che, secondo le stime, la vendita nel 2021 crescerà del 10,9%. La crisi non sembra passare velocemente. A questo bisogna aggiungere anche una guerra per la supremazia tecnologica tra Usa e Cina, con gli americani che stanno cercando di riconquistare la leadership. Dal canto suo, invece, l’Unione possiede il 10% della produzione e Bruxelles ha destinato oltre 145 miliardi di euro ai progetti digitali oltre ad avanzare l’ipotesi di costruire una fabbrica per produrre semiconduttori coinvolgendo le asiatiche Samsung e Tsmc. Insomma, un’altra sfida per l’Europa è proprio quella di una sovranità digitale e di una politica comune sulla microelettrica.

 

“Motorola è un’azienda che ha più di 90 anni e nei primi anni ’80 era leader dei semiconduttori. Business che poi ha ceduto nel 2003 - spiega La Rosa -. Dal 2014, siamo parte del gruppo Lenovo che è una grossa multinazionale cinese. Anche il mondo degli smartphone, oltre all’automotive, è stato toccato in maniera importante dalla crisi dei seminconduttori, in parte dovuta al fatto che la crescita della richiesta di tecnologia dovuta alle restrizioni della pandemia ha fatto in modo che la gente andasse alla ricerca di prodotti sempre più performanti”. 

 

I dati - “Basti pensare - aggiunge -. che se prima si era abituati ad avere un personal computer per famiglia, oggi si ha almeno un pc per persona. Inoltre, solo nel primo trimestre di quest’anno, le vendite globali di pc sono cresciute del 55%. Per cui si può immaginare l’enorme domanda che di componentistica. Alla base dei processori c’è il silicio, lo stesso che viene utilizzato nel mondo automotive. Di conseguenza, le scelte dolorose che stanno facendo i produttori di componentistica sono quelle di andare dove c’è la maggiore redditività. E’ un mercato che non ha saputo reagire nei tempi necessari e ha fatto sì che si arrivasse a questo livello di sofferenza, facendo così in parte aumentare i prezzi di tutti i prodotti di elettronica”.


“Dobbiamo avere un’Europa geopolitica che però abbia il coraggio e la coerenza di comprendere che per essere tale deve dotarsi degli strumenti per perseguire poi le sue ambizioni. E se ancora oggi abbiamo un bilancio pluriennale che consta solo dell’1% del Pil europeo a fronte di un bilancio federale statunitense che sta sul 24 è evidente che i mezzi non li abbiamo ancora acquisiti. Se non avremmo la forza di implementare una sovranità condivisa europea tecnologica, delle grandi filiere dell’innovazione, anche militare, al posto di essere un pezzo della scacchiera rischieremmo di essere la scacchiera su cui altri player giocheranno al posto nostro e sta già accadendo nei Balcani occidentali e anche all’interno di alcuni Stati membri. Diciamo che ieri era già tardi, non è ancora impossibile recuperare, ma bisogna superare questa incoerenza di chi vorrebbe darsi grandi obiettivi e poi litiga solo per intestarsi una piccola vittoria elettorale in chiave nazionale”, conclude Castaldo.
 

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