In occasione della Giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne, l’avvocata Andrea Catizone dedica alla GenZ un decalogo per riconoscere le forme di discriminazione che possono caratterizzare la quotidianità sul lavoro
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La violenza di genere passa anche per le discriminazioni sui luoghi di lavoro: un salario più basso a parità di mansioni rispetto a un collega maschio, battute scherzose che di spiritoso hanno ben poco, una delegittimazione sistematica dei propri meriti. Queste sono solo alcune delle forme che può assumere il fenomeno.
Perché sono tanti i campanelli d’allarme che le nuove generazioni (e non solo) devono imparare a riconoscere per poter difendere la parità di genere anche in ambito lavorativo. Come fare? Il portale Skuola.net lo ha chiesto ad Andrea Catizone, avvocata e presidente della Fondazione “Tina Lagostena Bassi”, impegnata nello stesso campo della figura a cui la Fondazione è intitolata. Infatti, Tina Lagostena Bassi, storica avvocata, è stata una pioniera nella difesa dei diritti delle donne, con oltre sessant’anni di attività tra professione legale, politica e comunicazione.
1. Commenti “scherzosi” ma imbarazzanti (per te) in privato o davanti ad altre persone
Commenti inopportuni sul tuo aspetto o abbigliamento, sulle tue origini, sul tuo orientamento o sulla tua identità di genere spacciate per ironia: se ti offendono e creano fastidio non si tratta di umorismo ma di discriminazione.
2. Mansioni diverse a parità di ruolo o di competenza
Se sul lavoro hai la stessa qualifica di un collega maschio, ma ti affidano incarichi meno qualificanti o che non sono riconosciuti tali solo perché sei donna, giovane, straniera, disabile o LGBTQ+, si tratta di un comportamento vietato dalla legge, da fare emergere nelle opportune sedi.
3. Stipendi diversi per le stesse mansioni: si chiama gender pay gap ed è vietato
Quando la diversità di ogni forma diventa una motivazione per pagarti di meno, si sta commettendo un illecito: esperienza identica, ruolo identico, compenso diverso. Sono cose che accadono spesso. Dire che è solo una politica aziendale non è una giustificazione, è un'aggravante.
4. Quando le promozioni riguardano tutti i colleghi (maschi), tranne te
Quando promozioni, corsi, leadership o progetti spettano sempre ad altri, nonostante le tue competenze e il tuo impegno “perché non sei il profilo giusto”, ma il profilo giusto è sempre quello degli altri, allora è discriminazione.
5. Quando sei “quello/a” da esibire
Ti chiamano solo quando serve mostrare che “l’azienda è inclusiva”: foto, eventi, storytelling… ma poi zero reale coinvolgimento. Tokenismo puro: diventi un token, ovvero uno strumento per dimostrare al mondo che l’azienda è quello che non è.
6. Riunioni in cui si diventa invisibili
Se nelle riunioni è come se indossassi il mantello dell’invisibilità, non sei Harry Potter ma semplicemente stanno applicando uno schema discriminatorio di genere: vieni ignorata sistematicamente, le tue idee vengono attribuite ad altri o, ancora, vieni interrotta di continuo… si configura una forma di discriminazione sottile ma devastante, perché è difficile da dimostrare. Ma non perderti d’animo.
7. Il linguaggio che ferisce: dalle imitazioni ai nomi storpiati
Anche il linguaggio ha il suo peso: se i tuoi colleghi vengono chiamati dottori e tu semplicemente per nome anche se sei laureata, se fanno le imitazioni della tua voce, se storpiano il tuo nome… anche qui ci troviamo di fronte a discriminazione.
8. Barriere invisibili per una esclusione reale
Conciliare la vita lavorativa con la maternità non è sempre semplice, ma ci sono modi per renderlo ancora più difficile: scarsa flessibilità del datore di lavoro così come l’assenza di forme di supporto alla genitorialità possono rendere la vita impossibile e portare le donne a rinunciare. La frase tipica “Eh, ma siamo un’azienda piccola” è una scusa non accettabile. I tuoi diritti valgono sempre.
9. Domande sulla vita privata che non devono essere poste
Indagini sulla tua vita privata come domande sulla tua vita sentimentale, su come ti identifichi, sulla tua salute o sul tuo corpo sono informazioni che ti appartengono e non devi condividerle al lavoro. A meno che non siano strettamente necessarie per quel tipo di lavoro. E comunque non possono essere divulgate o condivise con altri senza il tuo consenso.
10. Un clima tossico che si regge sulla frase “è sempre stato così”
Un clima tossico, ma normalizzato, tollerato e minimizzato con frasi come “è sempre stato così”… si può configurare come un vero e proprio reato, e deve essere evidenziato senza avere paura di essere isolato o visto come soggetto che crea problemi.
Spoiler: il problema non sei tu, ma chi non rispetta i tuoi diritti.