IL DIBATTITO

Quando l’educazione sessuale (da sola) non riduce la violenza di genere: il "paradosso nordico", ecco cos'è

Nei Paesi scandinavi dove l’educazione sessuale è parte dei programmi scolastici da decenni, la parità di genere convive ancora con alti livelli di violenza contro le donne

13 Nov 2025 - 16:29
 © agenzia

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L’educazione sessuale a scuola può davvero ridurre i fenomeni legati alla violenza di genere? È una domanda che in questi giorni si sta ponendo tutta la nazione a causa dell'accesso dibattito politico in corso su questo tema.

Quello che accade negli altri Paesi del mondo può aiutare a comprenderne l’utilità - indubbia, perché sapere le cose è sempre meglio che non saperle - anche se, certamente, non è una bacchetta magica che risolve istantaneamente tutti problemi. Così, il portale Skuola.net ha deciso di indagare tra studi e pubblicazioni scientifiche per provare a dare qualche coordinata scientifica per orientarsi sull’argomento. Ed emerge il "paradosso nordico". Ecco cos'è.

Cos'è il "paradosso nordico"

Nel virtuoso Nord Europa, ad esempio, si parla spesso del cosiddetto "paradosso nordico": Paesi come Svezia, Finlandia e Danimarca - dove l’insegnamento esiste da oltre 50 anni - ottengono i migliori punteggi in termini di parità di genere, ma registrano anche un’incidenza più elevata di episodi di violenza fisica o sessuale.

Secondo uno studio pubblicato su Social Science & Medicine, infatti, in questi paesi il 30% delle donne avrebbe subito violenza domestica contro una media europea del 22%.

Per contro, come sottolinea l’attivista Flavia Restivo nel libro “Gli svedesi lo fanno meglio” (ed. Rizzoli), insegnare l’affettività e la sessualità a tutta la popolazione scolarizzata ha inciso positivamente sulla parità di genere e sull’inclusione sociale, in Svezia (pioniera dal 1955) e nelle nazioni vicine. Parimenti, si è assistita a una riduzione delle gravidanze adolescenziali e una maggiore diffusione dell’uso di contraccettivi o strumenti di profilassi.

La violenza di genere resiste a qualsiasi lezione?

Purtroppo, però, o per la maggiore sensibilità sul tema da parte delle donne o per l’effettiva diffusione del fenomeno, l’ultimo report dell’Eurostat sulla violenza di genere ci dice anche altro.

Come il fatto che la Svezia è la nazione con il più alto tasso europeo di violenza fisica o sessuale: oltre la metà delle donne (52,5%), nel paese scandinavo, dichiara di averne subìta almeno una volta nella vita. Nella vicina Finlandia la percentuale sale al 57,1%, mentre in Danimarca si ferma al 47,5%.

Per fare un confronto, in Italia - dove l’educazione sessuale e affettiva è soggetta ad una forte discrezionalità delle singole scuole, pur facendo parte delle linee guida per l’insegnamento di questi argomenti - il dato si attesta al 31,7%.

Più nello specifico, restando sempre in Svezia, la prevalenza di violenza subita da autori diversi dal partner - quindi amici, conoscenti o sconosciuti - è tra le più alte in Europa: il 42% delle donne ha dichiarato di essere stata vittima, dal compimento dei 15 anni in poi, di episodi di violenza fisica, minacce o violenza sessuale da parte di qualcuno a cui non era sentimentalmente legata.

Entrando nel dettaglio, il 7,1% ha subìto violenza fisica o minacce (senza violenza sessuale), il 22,3% violenza sessuale diversa dallo stupro, e il 12,6% stupro vero e proprio.

Si tratta del tasso più elevato di tutta l’Unione Europea per entrambe le categorie analizzate nell’indagine, superato solo dalla Finlandia, che registra un 46,5% complessivo di violenze da non partner.

Cosa succede nel resto d'Europa

Discorso simile anche se ci si focalizza sui nostri “vicini” più stretti. In Francia, l’insegnamento esiste ormai dal 1998, eppure la percentuale di donne che hanno subito violenza fisica o di tipo sessuale almeno una volta nella vita si attesta al 34,6%. La Germania, altra pioniera dell'educazione sessuale, avendola introdotta in pianta stabile nel 1968, fa un po’ meglio, con il dato che si attesta al 25,6%.

Da dove nasce questo cortocircuito? Qui arriva il passaggio, per così dire, confortante. Secondo il report Eurostat, infatti, una delle possibili spiegazioni risiede nella maggiore consapevolezza delle donne. Nei Paesi dove l’educazione sessuale è parte integrante dei programmi scolastici, le ragazze crescono più informate sui propri diritti e più capaci di riconoscere e denunciare episodi di violenza.

È anche per questo che le statistiche possono risultare più alte: non perché ci siano necessariamente più casi, ma perché vengono più spesso segnalati.

E se ci fosse una maggior consapevolezza?

Di contro, però, questi numeri raccontano anche un’altra realtà: se le denunce aumentano, significa che la componente maschile continua a non recepire fino in fondo i principi di rispetto e parità che un’educazione sessuale completa dovrebbe trasmettere.

Una conferma che arriva anche quando parliamo esplicitamente di femminicidi: premesso che ottenere dei dati recenti e comparabili è molto complesso, nel 2018, il tasso di vittime femminili di omicidio registrato in Italia era dello 0,45 per 100.000 abitanti, il quinto più  basso tra i 24 Stati membri per i quali sono disponibili informazioni.

In ogni caso, però, c’è poco da gioire perché l’Italia ha il nono tasso più elevato (0,24) di vittime femminili di omicidio volontario perpetrato da partner intimi (su 15 giurisdizioni) e il decimo tasso più elevato (0,11) di vittime femminili di omicidio perpetrato da membri della famiglia e parenti (su 14 giurisdizioni).

L'educazione all'affettività resta fondamentale

In questo senso, l’educazione sessuale, come ribadito anche da un recente report dell’UNESCO, resta un pilastro fondamentale nella formazione scolastica. Ma, al tempo stesso, può diventare efficace solo se affrontata con un approccio “olistico”.

Ciò significa dover sviluppare percorsi che non si limitino a spiegare il funzionamento dell’apparato riproduttivo o a prevenire gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili, ma che includano anche l’educazione alle emozioni, alle relazioni, al rispetto reciproco e al consenso.

Sono questi gli elementi cardine di un’educazione sessuale completa e continua (Comprehensive Sexuality Education, CSE), così come codificata nelle linee guida delle Nazioni Unite, che deve tradursi in un percorso scientificamente accurato, aggiornato e calibrato sull’età di chi lo riceve.