In Europa 10 nazioni su 25 sviluppano programmi di questo tipo integrati negli insegnamenti scolastici. Ecco quali sono i benefici di chi la pratica
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L’educazione sessuale a scuola torna al centro del dibattito: il motivo del contendere è un emendamento a un disegno legge proposte dal governo qualche mese fa e ora in esame in Parlamento. In buona sostanza, il provvedimento consentiva lo svolgimento di attività di educazione sessuale ben individuate e codificate a partire dalle medie, sottoponendo la partecipazione degli studenti all’autorizzazione dei genitori previa firma di un consenso informato sui contenuti. Se il ddl dovesse essere convertito in legge con le modifiche proposte nell’emendamento, questo limite si estenderebbe anche alle medie. Tuttavia, sarà sempre consentito (e richiesto) di parlare di temi affettivo-sessuali nell’ambito dell’educazione civica - per quanto riguarda soprattutto il tema del rispetto di genere - e delle materie curricolari, dove nelle indicazioni nazionali sia attuali che future sono previsti questi argomenti, inclusa la conoscenza delle malattie sessualmente trasmissibili.
Ma come sono messi nel resto del mondo? Come segnala una ricognizione realizzata dal portale specializzato Skuola.net, in diversi Paesi i programmi di educazione all’affettività e alla sessualità sono ormai parte integrante dei percorsi scolastici da decenni, offrendo la possibilità di valutarne gli effetti concreti sulle nuove generazioni.
L'approccio "completo" che funziona
Solo per restare nei confini europei, in Svezia l’educazione sessuale è diventata materia obbligatoria, integrata nei corsi curricolari delle scuole, fin dal 1955. In Germania ciò è avvenuto nel 1968, mentre in Francia è diventata legge dal 2001.
Secondo un recente rapporto Unesco, su 25 Paesi europei presi in esame sono 10 quelli che possono vantare un programma di Comprehensive Sexuality Education (CSE) curricolare a scuola, ossia percorsi di educazione affettiva sessuale che non si limitino solo a raccontare come funzionano gli apparati riproduttivi e come evitare gravidanze indesiderate o malattie sessualmente trasmissibili. Ma che, al contrario, sviluppano il tema con un approccio olistico che comprende l’educazione alle emozioni, alle relazioni, al rispetto e al consenso.
Insomma, una Educazione sessuale ‘completa’ che ha l’obiettivo di fornire un insegnamento trasversale e unitario incentrato sugli aspetti cognitivi, emozionali, fisici e sociali della sessualità, facendo leva sulle materie dei curricula scolastici e non restando solo come insegnamento a sé stante.
E, nelle nazioni dove questo avviene, ci sono delle evidenze scientifiche che dimostrano un netto miglioramento della situazione. Laddove i giovani ricevono più informazioni sulla loro sessualità, sulla salute sessuale e sui loro diritti, si riduce l’ansia legata, ad esempio, alla pressione della “prima volta” a tutti i costi. Inoltre, parlando della pubertà prima che essa inizi e accompagnando questo periodo di cambiamenti con insegnamenti su argomenti come il rispetto e il consenso, si abbassa significativamente il rischio di violenza, di sfruttamento e di abusi sessuali.
Le linee guida ONU: iniziare a parlarne presto e con metodo
Chiaramente questi risultati arrivano solo lavorando in un certo modo, ovvero seguendo delle buone pratiche. Che già sono state codificate nelle linee guida delle Nazioni Unite. Queste ultime raccomandano che tali programmi siano appunto “comprensivi”, scientificamente accurati e basati su un programma ben definito. Vietato, dunque, il fai da te o la superficialità, ma soprattutto l’improvvisazione. Come spesso accade alle nostre latitudini.
Le linee guida dell’ONU consigliano, piuttosto, la pianificazione: la CSE dovrebbe iniziare fin dalle scuole elementari e proseguire per tutta la vita, considerando però che parlare di affettività e sessualità a un bambino è diverso rispetto a farlo con un adolescente in pre-pubertà o con uno nel pieno delle tempeste ormonali. In questo senso, i primi a iniziare sono i Paesi Bassi, dove l’accesso all’educazione sessuale scolastica avviene addirittura a 4 anni.
Educazione sessuo-affettiva nelle scuole: Italia fanalino di coda?
Ritornando alla geografia dell’educazione all’affettività e alla sessualità, come già accennato, in Italia ad oggi non esistono percorsi di formazione obbligatori, né un vero e proprio piano nazionale, ma siamo in buona compagnia: su 50 nazioni analizzate nell’ultimo report Unesco, solo il 20% degli Stati ha uno schema legislativo dedicato all’educazione sessuale e solo il 39% ha adottato iniziative specifiche al riguardo.
L'Unesco, sempre nello stesso report, sottolinea poi l’importanza del diritto all’educazione affettiva e sessuale non solo in quanto diritto alla salute, ma anche al fine di realizzare il pieno rispetto dei diritti umani e favorire l’uguaglianza di genere, essendo questi parte degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu.
Tornando alla situazione italiana, secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio “Giovani Sessualità”, svolto da Durex in collaborazione con Skuola.net, il 38,8% dei giovani di età compresa tra gli 11 e 24 anni non hanno mai trattato temi di educazione sessuale a scuola e, per chi l’ha fatto, spesso si è trattato di una ripetizione di concetti già noti.
Il programma di “Educazione alle relazioni” fortemente voluto dal ministro Valditara come risposta al caso Cecchettin, sembra aver avuto miglior fortuna: come ha dichiarato lo stesso Ministro a Skuola.net lo scorso giugno, “l'educazione alle relazioni le abbiamo avviata per la prima volta nella scuola italiana a settembre del 2024 e devo dire che i risultati sono stati eccezionali: circa il 97% delle scuole che hanno risposto al questionario che abbiamo inviato e l’87% di queste ha avviato il percorsi di educazione alle relazioni. In quasi il 70% dei casi ci hanno le scuole ci hanno testimoniato un miglioramento netto dei comportamenti dei giovani coinvolti”.
Ma resta sempre e comunque un nodo, al di là di quanto si sta discutendo in Parlamento: sta sempre ai docenti e alle scuole decidere se e come integrare l’educazione affettiva e sessuale nell’educazione civica e negli insegnamenti curricolari ove sia previsto, al di là di qualsiasi contributo esterno che a questo punto verrebbe precluso fino alle superiori.