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Tanti NEET, troppe matricole fuoricorso o che mollano, pochi laureati: giovani italiani alla deriva dopo la scuola

Molti indicatori, in particolare i dati OCSE, mostrano come gli under 35 italiani navighino in acque turbolente. Il nostro Paese ha una concentrazione di "inattivi" nettamente più alta degli altri, non eccelle per numero di laureati e registra tassi elevati di abbandono degli studi post diploma

Tanti NEET, troppe matricole fuoricorso o che mollano, pochi laureati: giovani italiani alla deriva dopo la scuola - foto 1
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Che l’Italia sia, purtroppo, la “patria” dei NEET - quei giovani che non studiano né lavorano - è ormai un qualcosa di già sentito: nella fascia d’età 18-24 anni ben il 27,1% dei nostri connazionali risulta inattivo su tutta la linea.

Un dato nettamente superiore alla media dei Paesi OCSE (16%) e a quella dell’Unione Europea (14,2%). E molto distante, in negativo, da quello dei principali Stati europei: la più vicina a noi è la Spagna, con il 20,3%; la Francia è al 17,1%; il Regno Unito al 13,4%; la Germania solamente al 10%.

 

All'università ci si va, ma meno che altrove

 

Ma, quello che raramente si sente dire, è che anche chi è “impegnato” non contribuisce poi così tanto a risollevare le sorti del Paese. Un discorso che, come segnala un'analisi a tutto tondo effettuata da Skuola.net, riguarda in particolar modo le ragazze e i ragazzi che dopo il diploma decidono di inseguire la laurea o di seguire una formazione alternativa. Innanzitutto perché il 53,9% di giovani iscritti a un qualche percorso d’istruzione di livello terziario (università, accademie, ITS, ecc.) ci porta, di nuovo seppur di poco, a fare peggio della media OCSE (54,2%). Inoltre, soffermandoci sulla dimensione europea, anche su questo piano perdiamo il confronto con i nostri vicini di casa: in Germania, Spagna e Francia la percentuale di studenti oscilla tra il 56% e il 62%.

 

Quasi inesistenti gli studenti-lavoratori

 

Alla fine, riusciamo a metterci dietro solo la Gran Bretagna, ferma al 45,1%. Ma non è tutto oro quel che luccica. Tanto per cominciare, in Italia praticamente tutti i giovani che proseguono gli studi lo fanno in via esclusiva, appena il 2,7% - poco più del 5% di quel 54% scarso - lavora mentre è in formazione. Mentre altrove è notevole la quota di chi segue parallelamente le due attività. Proprio il Regno Unito è il paese con i numeri più alti: ha il 18,6% di studenti-lavoratori, quasi la metà del totale. La Francia ne ha il 14,4%, circa un quarto rispetto al numero complessivo. In Germania sono addirittura il 31,8% degli under25, esattamente la metà degli studenti. Solo la Spagna ci assomiglia, con il 7,6% di ragazze e ragazzi che studiano e lavorano allo stesso tempo.

 

La piaga dei fuori corso

 

Ma, cosa ancora più allarmante, è che seppur interpretando gli studi come un vero e proprio lavoro, i giovani italiani non riescono a performare. A partire, ad esempio, dalle tempistiche ordinarie in cui si dovrebbe conseguire una laurea triennale, primo passo della carriera universitaria, che dalle nostre parti vengono di frequente superate. I dati ci dicono che Italia solo uno studente su cinque (20,6%) riesce a completare “in corso”, a fronte di una media dell’area OCSE quasi doppia (39%) e nettamente inferiore rispetto al 37,3% della Spagna, al 36,3% della Francia e all’inarrivabile 69,4% del Regno Unito. E anche se allarghiamo l’orizzonte includendo chi ce la fa entro un triennio extra, missione non proprio impossibile, la situazione non migliora: in Italia la percentuale passa al 53,2%, ma in Spagna si raggiunge il 72%, in Francia il 71%, nel Regno Unito l’84,5%.

 

Per tanti la laurea rimane un sogno

 

Ad aggravare ulteriormente la situazione c’è, poi, il dato sull’abbandono universitario. Che, di nuovo, ci vede fanalino di coda. Nel nostro Paese, se prendiamo a riferimento sempre la durata legale di un laurea triennale, quasi un iscritto su tre (30,8%) molla gli studi senza conseguire il titolo; circa la metà (14,2%) molla tra il primo e il secondo anno di corso. La media OCSE di abbandono alla fine del triennio? Solo il 20,6%. Le big europee? Fanno molto meglio: la Francia perde il 16,9% degli iscritti, la Gran Bretagna il 12,8%, la Spagna solo il 12,8%.

 

Cresciamo meno degli altri anche per numero di "dottori"

 

Tutto questo si traduce, ovviamente, in un tasso di laureati tra i più bassi in assoluto. Nonostante i miglioramenti fatti nell’ultimo decennio abbondante, che hanno visto la quota di popolazione tra i tra i 25 e i 34 anni in possesso di un titolo di studio di livello terziario dal 21% del 2011 al 28,3% del 2021, il divario col resto dell’area OCSE: se, infatti, nel 2011 la media dei laureati dei Paesi membri era del 37,9% (circa 17 punti percentuale in più), nel 2021 è arrivata al 47,1% (oltre 18 punti). Un ritardo che si fa ancora più evidente nel confronto con i principali Paesi del “vecchio continente”: nel 2021, il Regno Unito era al 57,5% di laureati tra i 25-34enni, la Francia al 50,3%, la Spagna al 48,7%, la Germania al 35,9%.

 

Dalle ragazze una speranza per il futuro

 

Per fortuna ci sono le ragazze che, su questo fronte, contribuiscono a salvare un po’ l’onore dell’Italia. Le nostre laureate (o con un titolo di livello terziario), sempre nel 2021, erano il 34,4% di tutte le donne tra i 25 e i 34 anni; avvicinandosi di un incollatura al risultato della Germania (37,7%) e distante dagli altri sicuramente meno di quanto fanno i maschi, che nella stessa fascia d’età vedevano una percentuale di dottori o similari pari al 22,3%, lontana anni luce dagli standard europei e OCSE.

 

Il lavoro "giovane" è una chimera

 

Per completare il quadro, un accenno a quanti hanno invece deciso di entrare subito - entro i 24 anni - nel mondo del lavoro senza proseguire gli studi dopo il diploma. Secondo l’analisi ANVUR, relativa al 2022, in Italia sono circa un quinto della popolazione di riferimento (19%). Un dato, per l’ennesima volta, inferiore non di poco agli altri: la media OCSE è del 29,7%, quella dell’Unione Europea al 26,2%, in Germania è del 28,4%, in Francia del 26,4%, nel Regno Unito del 41,5%, solo la Spagna ne ha di meno (17,6%).

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