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Scuola, i presidi: "Il rischio di non tornare in classe dal 7 gennaio c'è Il punto più critico? I trasporti"

Il presidente dell'Associazione Nazionale Presidi di Roma e del Lazio: "La scuola dovrebbe essere la priorità ma, nei fatti, non è così"

scuola lockdown
Ansa

Tra le questioni tornate "scottanti" sul tavolo del governo, oltre alla gestione delle chiusure natalizie, c'è il ritorno sui banchi degli studenti, soprattutto di quelli delle superiori. Secondo l'ultimo Dpcm, i ragazzi più grandi - che ormai da circa due mesi sono costretti a seguire di nuovo le lezioni 'a distanza' - dovrebbero infatti rientrare in classe dal 7 gennaio, cioè al termine delle vacanze di fine anno; la quota di presenze giornaliere dovrà comprendere almeno il 75% degli alunni. Ma la discesa troppo lenta della curva epidemica potrebbe portare a un clamoroso dietrofront per quel che riguarda la scuola. Il sito Skuola.net, per cercare di capire meglio cosa succederà nei prossimi giorni, ha intervistato Mario Rusconi, presidente dell'Associazione nazionale dei presidi di Roma e del Lazio. L'occasione per fare anche un bilancio del travagliato 2020 della scuola italiana.

Come stanno le cose: si torna o non si torna?

“Anche secondo noi quella del 75% di presenze in classe è una quota che va abbastanza bene. Date, però, le notizie che si sono diffuse in questi ultimi giorni - da parte soprattutto del Ministero della Salute - riteniamo che ci sia il rischio, direi molto concreto, di non poter rientrare con questa percentuale. Noi, comunque, continuiamo a sperare, come promesso dal Dpcm, che dal 7 di gennaio si possa tornare a scuola”. 

 

Cosa impedirebbe, in concreto, la riapertura delle scuole superiori?

“Purtroppo ci sono ancora molte criticità che non sono state risolte. Non parlo tanto dei rapporti con le ASL, che sono molto migliorati, anche perché come presidi abbiamo fatto molta pressione sui vari assessori regionali alla salute. È soprattutto il sistema dei trasporti che, invece, è tutto sommato rimasto quello precedente, cioè piuttosto carente nelle grandi città, dove gli assembramenti -  come si è visto anche nello scorso fine settimana - non si possono evitare”.

 

Cosa non ha funzionato?

“Se analizziamo la situazione, si vedono una serie di passi indietro che non ci fanno assolutamente piacere. La scuola dovrebbe essere la priorità assoluta ma, nei fatti, non è così. Certamente abbiamo i problemi relativi alla pandemia ma questi speriamo possano essere risolti non dico a breve ma in tempi ragionevoli; il futuro delle giovani generazioni, in particolare dei ragazzi che vanno dai 14 ai 19 anni, invece si gioca proprio in queste settimane, anzi, in questi giorni.” 

 

Di chi è, a suo parere, la responsabilità?

“Del Governo, degli Enti locali, del sistema politico-istituzionale in genere: avrebbero dovuto darsi da fare di più per permettere un ritorno in presenza degli studenti, facendo se necessario i salti mortali e non trattando la scuola come un vaso di coccio tra vasi di ferro. Non possono dire semplicemente 'chiudiamo la scuola'. Devono, invece, rimboccarsi le maniche per cercare di farla ritornare in presenza più presto possibile.”

 

Siamo a dicembre, tempo di bilanci: che giudizio dà di quest'anno scolastico, dominato dalla Dad?

“Molti studenti italiani hanno già perso un anno di scuola. Ora, rischiano di perderne un secondo. Penso in particolare ai bambini piccoli: non si può fare didattica digitale in prima e seconda primaria; molte maestre mi dicono che quest'anno hanno cominciato la seconda elementare con molti alunni che non sapevano ancora leggere, avendo di fatto saltato la prima. Altra categoria fortemente svantaggiata sono i ragazzi disabili, sia quelli delle scuole primarie che quelli delle medie e superiori. Non dimentichiamo, infine, gli alunni che sono in sofferenza dal punto di vista socio-culturale, con famiglie poco abbienti, poco culturalizzate, che non hanno a disposizione la tecnologia che hanno gli altri.” 
 

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