IL RAPPORTO OCSE TALIS 2024

Prof sempre più anziani e meno appagati dallo stipendio

Molto soddisfatti del loro lavoro, nonostante lo stipendio basso. Esperti e autonomi nella pianificazione della didattica, ma ancora senza un vero ricambio generazionale. È l’identikit dei docenti italiani secondo il rapporto OCSE TALIS 2024

15 Ott 2025 - 17:27
 © Ansa

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Stanchi, spesso sottopagati e con un’età media tra le più alte d’Europa. Ma ancora innamorati del proprio lavoro. È il ritratto dei docenti italiani dipinto dal rapporto OCSE TALIS - Teacher And Learning International Survey - la più ampia indagine internazionale sulla vita professionale degli insegnanti, aggiornata per l’anno 2024, e analizzata nei suoi punti chiave dal portale Skuola.net.

Le principali evidenze dell'indagine

Realizzata ogni cinque anni, l’indagine ha coinvolto oltre 280 mila docenti e dirigenti scolastici di 55 Paesi dell’area OCSE, con l’obiettivo di esplorare in profondità le condizioni lavorative e le sfide di chi ogni giorno siede dietro la cattedra.

E i risultati, almeno per l’Italia, smentiscono qualsiasi idea di crisi di vocazione. Anzi: il 96% dei prof di casa nostra si dichiara complessivamente contento di fare questo mestiere. Una percentuale da record, ben superiore alla media OCSE (89%). Di contro, però, solo uno su quattro si dice contento dello stipendio.

Segno che, nonostante le difficoltà, la passione per l’insegnamento resta il motore principale di chi sceglie questa professione, anche quando la soddisfazione economica viene a  mancare.

Prof sempre più anziani: oltre la metà è over 50

Altro elemento abbastanza allarmante, poi, è il tendenziale invecchiamento della classe docente italiana. L’età media degli insegnanti attualmente si attesta attorno ai 48 anni, tre in più rispetto alla media OCSE. E quasi la metà (49%) ha più di 50 anni. Solo il 3% ha meno di 30 anni, contro il 10% della media internazionale.

Le nostre classi, dunque, sono animate da una generazione di professori esperti, ma sempre più anziana e con pochissimi ricambi. Che resta a prevalenza femminile: il 77% della truppa è rappresentato da donne, un dato stabile dal 2018 e superiore di sette punti alla media OCSE.

Non sempre, poi, quella dell’insegnamento è stata una prima scelta: il 67% dei docenti italiani ha infatti lavorato in settori diversi dall’istruzione, mentre i cosiddetti “insegnanti di seconda carriera” - coloro che hanno accumulato almeno dieci anni di esperienza in altri ambiti prima di entrare a scuola - rappresentano il 15%, quasi il doppio della media OCSE (8%).

La formazione, tra opportunità e nuove sfide

In ogni caso, stiamo parlando di persone in larga parte consapevoli delle proprie capacità. Ben il 91% afferma di sentirsi pienamente in grado di insegnare i contenuti della propria disciplina, segno che la formazione iniziale - almeno sotto il profilo tecnico - viene percepita come solida. Nel complesso, sette insegnanti su dieci (70%) giudicano la propria preparazione “complessivamente buona”, un valore di poco inferiore alla media OCSE (75%).

Anche se la fiducia cala quando si entra in aree più trasversali e complesse: solo il 51% si ritiene ben preparato in pedagogia generale, il 40% nella didattica in contesti plurilingue e multiculturali, e il 52% nell’uso di risorse e strumenti digitali per la didattica.

Un segnale di rinnovamento comunque c’è, e arriva dai programmi di inserimento e mentoring, strumenti fondamentali per accompagnare i nuovi insegnanti nei primi anni di carriera. Tra chi ha iniziato a lavorare negli ultimi cinque anni, il 62% dichiara di aver partecipato ad attività di accoglienza o orientamento nella scuola: un dato in netta crescita nel tempo - ben +42 punti percentuali rispetto al 2018 - anche se resta ancora sotto la media OCSE (72%).

Più lenta, invece, la diffusione di veri e propri percorsi di mentoring, cioè l’assegnazione di un insegnante esperto che affianchi i colleghi alle prime armi. Solo il 16% dei neo-docenti italiani può contare su un mentore formale, contro il 26% della media internazionale. 

Anche qui, il dato risulta in aumento: nel 2018 la percentuale era appena del 5%. Oggi, inoltre, il 75% dei docenti lavora in scuole che offrono almeno un programma di tutoraggio, un valore non lontano dal dato OCSE (81%).

Ancora più incoraggiante è il giudizio sull’apprendimento professionale continuo: l’83% dei docenti afferma che i corsi seguiti nell’ultimo anno hanno avuto un impatto positivo sull’insegnamento, a fronte del 55% medio dell’area OCSE. 

Insegnanti fiduciosi nelle proprie capacità

E i risultati, in effetti, si vedono anche in classe: il 74% degli insegnanti italiani ritiene di raggiungere “abbastanza” o “molto” gli obiettivi delle proprie lezioni in tutte le aree chiave analizzate da TALIS - dalla chiarezza espositiva alla gestione della classe, dal feedback al sostegno socio-emotivo - contro il 44% della media OCSE.

Peccato che i docenti più giovani fatichino a tenere il passo: solo il 59% dei docenti con meno di cinque anni di esperienza dichiara di riuscire a centrare gli obiettivi, contro l’80% dei colleghi più esperti.

In ogni caso, oggi i prof italiani scendono in campo con un bagaglio di competenze ampio e articolato, che combina conoscenze disciplinari solide e una crescente attenzione agli aspetti relazionali ed emotivi della vita scolastica. Che comunque, secondo loro, andrebbe ulteriormente arricchito.

Tra le principali priorità emerse, spicca in particolar modo l’attenzione all’apprendimento socio-emotivo degli studenti, una dimensione che durante - e soprattutto dopo - la pandemia ha assunto un ruolo centrale nel benessere delle classi.

Quasi tutti gli insegnanti italiani si dicono pronti ad affrontare questo compito: il 90% dichiara di sentirsi in grado di sostenere “abbastanza” o “molto” lo sviluppo socio-emotivo dei propri alunni (contro il 73% della media OCSE), mentre il 94% afferma di trovarsi perfettamente a proprio agio nel proporre lezioni e attività su queste tematiche (OCSE: 86%).

Le priorità in aula

E, sempre più spesso, questa sensibilità si traduce in pratiche quotidiane mirate: l’84% dei docenti dice di lavorare “frequentemente” o “sempre” per aiutare gli studenti a riconoscere e comprendere emozioni, pensieri e comportamenti (OCSE: 68%), mentre il 92% dichiara di impegnarsi con costanza per sviluppare la capacità di empatia (OCSE: 82%).

Sul fronte tecnologico, invece, i nostri docenti sembrano indietro. Dopo l’accelerazione forzata della pandemia, solo il 5% degli insegnanti lavora oggi in scuole dove, nell’ultimo mese, si è svolta almeno una lezione online o in modalità ibrida, contro il 16% della media OCSE. Segno che la digitalizzazione della didattica, pur avviata, fatica ancora a diventare parte integrante dell’esperienza scolastica quotidiana.

Più interessante è il rapporto con l’intelligenza artificiale, che sta lentamente facendo capolino tra i banchi. Un docente su quattro (25%) dichiara di aver già utilizzato strumenti di IA nel proprio lavoro, una percentuale inferiore alla media OCSE (36%) ma comunque significativa. 

Gli usi principali riguardano la preparazione e il supporto all’insegnamento: il 70% la impiega per approfondire o riassumere argomenti complessi, il 68% per produrre lezioni o attività didattiche, e il 61% per sostenere studenti con bisogni educativi speciali.

Molto meno diffuso, invece, l’uso dell’IA per fornire feedback agli studenti o comunicare con le famiglie (32%), analizzare dati sul rendimento (31%) o valutare compiti e prove (27%).

Il principale motivo di questa mancanza? Tra coloro che non hanno ancora adottato l’intelligenza artificiale in classe, il 69% ammette di non possedere le competenze necessarie (un dato migliore della media OCSE, pari al 75%), mentre il 39% indica come ostacolo principale la mancanza di infrastrutture adeguate (simile al 37% OCSE).

Docenti italiani sempre più autonomi nella pianificazione della didattica

C’è però un terreno su cui la classe docente nazionale eccelle, e che rappresenta una delle sue caratteristiche più distintive: l’autonomia e la partecipazione. Rispetto alla media OCSE, gli insegnanti italiani dichiarano di godere di maggiore libertà nelle scelte didattiche e di essere più coinvolti nei processi decisionali delle proprie scuole. 

E i dirigenti scolastici confermano: in almeno due terzi degli ambiti analizzati, i docenti partecipano attivamente alla definizione del curricolo, alle decisioni sull’insegnamento e alla pianificazione delle politiche scolastiche.

Un’autonomia che si rende necessaria, specie in una scuola sempre più corale e inclusiva, e a trazione multietnica. Oggi, infatti, il 38% degli insegnanti nostrani lavora in scuole dove oltre il 10% degli studenti non ha l’italiano come prima lingua, un valore nettamente superiore alla media OCSE (25%).

Allo stesso tempo, una quota analoga - il 38% - insegna in istituti dove almeno l’1% degli alunni è rappresentato da rifugiati (dato inferiore alla media OCSE, pari al 47%). Rispetto al 2018, la presenza di studenti non italofoni è rimasta stabile, mentre quella di studenti rifugiati è aumentata di 22 punti percentuali, segno di un cambiamento profondo nella composizione delle classi.

E nonostante la complessità crescente, la maggior parte degli insegnanti italiani si sente pronta ad affrontarla. L’84% ritiene di poter adattare “abbastanza” o “molto” il proprio insegnamento alla diversità culturale degli studenti (media OCSE: 63%), mentre il 95% assicura di riuscire a favorire la collaborazione tra ragazzi con background diversi (OCSE: 74%).

Il carico di lavoro di un insegnante

Dietro tutta questa dedizione, però, si nasconde tanta fatica. Il tempo medio di lavoro settimanale per un docente a tempo pieno è di 32,7 ore (la media OCSE è di 41): di queste, 18,8 ore sono riservate all’insegnamento in classe, 6,3 alla preparazione delle lezioni (contro le 7,4 ore della media OCSE), 4,8 ore alla correzione dei compiti e 2,2 ore alle attività amministrative, leggermente meno delle 3 ore indicate in media dagli altri Paesi.

C’è poi tutto un carico invisibile che conta diverse ore di lavoro al di fuori della classe, con  la burocrazia che rappresenta la principale spina nel fianco della professione. Oltre la metà dei docenti (56%) la indica come principale fonte di stress, seguita dal 48% che lamenta un eccessivo carico di compiti da correggere e da un altro 48% che cita le pressioni dei genitori o dei tutori.

Un impegno non sempre ricompensato a dovere

Un impegno costante, quello dei docenti italiani, che però non sempre trova un adeguato riconoscimento. Sul fronte contrattuale la situazione appare relativamente stabile: il 79% degli insegnanti lavora con un contratto a tempo indeterminato, una percentuale in linea con la media OCSE (81%) e in crescita di 4 punti rispetto al 2018.

La precarietà purtroppo resta una prerogativa dei più giovani: i contratti a tempo determinato sono infatti più diffusi tra i docenti con meno di cinque anni di esperienza, segno di un ingresso nel sistema ancora troppo fragile e disomogeneo.

Ma è sul piano retributivo che emerge la maggiore criticità. Solo il 23% degli insegnanti italiani si dichiara soddisfatto del proprio stipendio, un dato ben al di sotto della media OCSE (39%) e che, dal 2018, non mostra segni di miglioramento.