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L'Italia è il paese più vecchio d'Europa: in vent'anni persi oltre 3 milioni di giovani: e chi è rimasto tende a scappare via 

Lavoro poco stabile e mal pagato, che si riflette nella difficoltà di raggiungere un’indipendenza economica e, quindi, di lasciare la casa dei genitori per costruire la propria strada e una famiglia: non è facile la vita dei giovani in Italia

L'Italia è il paese più vecchio d'Europa: in vent'anni persi oltre 3 milioni di giovani: e chi è rimasto tende a scappare via  - foto 1
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Siamo il paese più vecchio dell'UE: in vent'anni abbiamo perso oltre 3 milioni di persone nella fascia giovanile della popolazione.

E non è solo colpa della denatalità. Perché le scarse opportunità lavorative spingono i ragazzi a fuggire verso il Nord d'Italia o l'estero. Facendo diminuire ulteriormente la quota di residenti.

E il circolo diventa sempre più vizioso se si entra sul personale: il freno alla costruzione di una nuova famiglia è proprio la mancanza di un lavoro stabile. Questo è il preoccupante ritratto dei nuovi adulti di casa nostra, disegnato congiuntamente dal Consiglio Nazionale dei Giovani e dall’Agenzia Italiana per la Gioventù attraverso il rapporto “Giovani 2024: Bilancio di una Generazione”. Il portale Skuola.net lo ha analizzato, estrapolandone i passaggi più interessanti.

 

Iniziamo dal dato più eloquente: tra il 2002 e il 2023 l’Italia ha visto diminuire di 3,4 milioni di unità il numero dei giovani residenti. Nella fascia d’età 15-35 anni, siamo infatti passati da 16,1 milioni a 12,7 milioni di unità, subendo quindi una perdita di oltre un quinto di persone (-21,2%). La compressione più forte si è registrata tra le femmine: -22,8%, a fronte del -19,7% tra i maschi; con un picco del -30% nel segmento 25-35 anni. Un grosso problema anche in ottica "ripopolamento". Numeri che ci collocano all’ultimo posto nell’Unione Europea per incidenza di giovani sul totale della popolazione: da noi sono il 17,4% della popolazione, la media UE è del 19,4%, con scarti particolarmente rilevanti rispetto ai Paesi più virtuosi come il Lussemburgo (23,7%), la Danimarca (22,1%), i Paesi Bassi (21,9%), la Svezia (21,7%).

 

La "fuga dei cervelli" e l'emigrazione interna peggiorano le cose

 

A contribuire in modo sostanzioso a tale situazione non c’è solo l'inverno demografico in cui sta sprofondando il nostro Paese. Ci si mette pure una sempre più consistente “fuga dei cervelli”. Prendendo a parametro i laureati tra 25 e 34 anni, solo nel 2021 quasi 18 mila giovani (17.997) sono andati via. Una decina di anni fa erano infinitamente di meno: nel 2011, ad esempio, furono 4.720. Il dato è quindi schizzato del +281%, raggiunge il +402% tra quelli del Sud.

 

E poi c'è la mobilità "interna", che sta letteralmente svuotando lo stesso Sud Italia, visto che tra i 56 mila giovani che, nel 2021, hanno lasciato la propria regione di appartenenza ben il 48,6% era del Mezzogiorno. Con un saldo negativo interno pari a -17,8 mila unità, assorbite in larga misura dalle regioni del Nord (+14,7 mila unità) e, secondariamente, da quelle del Centro (+3,1 mila). Più in generale, negli ultimi vent’anni, mentre il Nord ha visto diminuire i giovani del 16,9% e le regioni del Centro del 18,9%, al Sud il calo è stato del 27,3%. Cosicché, oggi, al meridione risiede solo il 36% dei giovani italiani, a fronte del 45,1% al Nord.

 

Il lavoro giovanile? Precario e poco pagato

 

Ciò accade, principalmente, perché il lavoro scarseggia. Ovunque ma, in particolare, proprio al Sud, dove il tasso di disoccupazione giovanile è triplo rispetto al Nord: 23,9% contro 8%. Con l'occupazione femninile che è ferma al 38,6%. Lavoro che, se ciò non bastasse, è tutt'altro che stabile: il 40,9% degli under 35 occupati ha un contratto precario (a tempo determinato o stagionale). Ancora più negativi i dati relativi alle nuove attivazioni contrattuali: nel 2023, tra gli under 30 risultano “precarie” nel 79,8% dei casi. Persino il settore pubblico non è più sinonimo di stabilità: qui gli “atipici” rappresentano il 48,6% del totale dei giovani dipendenti.

 

Precarietà che si traduce in anche in una discontinuità stipendiale: nel 2022, solo il 39% dei giovani, nel settore privato, ha ricevuto almeno dodici mensilità. Per 1 su 3, invece, il periodo retributivo è stato inferiore ai sei mesi: il 19,5% ha preso fino a tre mensilità, il 13,2% da tre a meno di sei mensilità. Di conseguenza, anche l'ammontare annuo degli stipendi è abbastanza basso: in media 15.616 euro lordi, a fronte di una media del settore di 22.839 euro. Differenziali significativi si rilevano, inoltre, in base al genere, con retribuzioni medie pari a 17.436 tra gli under 35 maschi, contro 13.233 euro tra le femmine, così come. E a livello territoriale: al Sud, il salario annuo medio si attesta a 11.594 euro, contro i 17.692 euro dei giovani del Nord.

 

Mancano le condizioni per entrare nell'età adultà

 

Fattori, questi, che come detto impediscono il passaggio a un vera vita adulta: per 2 giovani su 3 (65,7%) l’ostacolo principale all’abbandono del “nido”, della casa genitoriale, è proprio l’assenza di un lavoro su cui poter contare. Ma ci sono anche altre pre-condizioni che si devono avverare per potersi rendere veramente indipendenti, come la disponibilità di una casa a prezzi accessibili (lo dice il 33,7%) o poter mettere da parte risparmi a sufficienza per poter fronteggiare eventuali imprevisti (così per il 20,6%). Allo stesso modo, la precarietà economica blocca pure il mettere su famiglia e, perché no, rilanciare la natalità: per circa 7 giovani su 10 (69,4%) una condizione finanziaria adeguata è la premessa di ogni ragionamento sul fare figli o meno. Lasciando immaginare che, perlomeno a breve termine, sarà molto difficile invertire la curva dello spopolamento della nostra nazione.

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