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Il richiamo dell’estero non conosce crisi: un maturando su tre vorrebbe laurearsi in un ateneo straniero

Gli studenti prossimi al diploma, nonostante l’emergenza sanitaria, non vogliono rinunciare al sogno di studiare e di lavorare all’estero: due su tre immaginano un futuro professionale in un altro Paese

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A dispetto di quanti immaginavano che la pandemia avrebbe frenato l'esodo dei giovani italiani (per ragioni di studio o lavoro) verso l'estero, negli anni a venire il fenomeno potrebbe non arrestarsi affatto. Sono tantissimi, infatti, i ragazzi che nel momento chiave della loro vita guardano oltre i confini nazionali. Tra quelli che, dopo il diploma di maturità, vorrebbero prendere una laurea, circa 1 su 3 sta prendendo in seria considerazione di iniziare e finire l'università in un ateneo straniero. Gli stessi, riflettendo ancor più a lungo raggio, in 2 casi su 3 immaginano il proprio futuro lavorativo in una nazione diversa dall'Italia. A segnalare questo scenario è una ricerca condotta da Skuola.net in collaborazione con ESCP Business School, che ha visto protagonisti 3mila studenti di quinto superiore.

Si parte per arricchire il curriculum

Tra i motivi che spingono alla partenza così tanti giovani, su tutti spicca l'ipotetico 'peso' del curriculum: quasi la metà (44%) mette al primo posto la prospettiva di conseguire un titolo il più possibile riconoscibile a livello internazionale. Ma a intervenire sono anche aspetti più personali: il 22% lo farebbe per formarsi in un contesto mentalmente più aperto, il 17% per iniziare a costruire quella vita all'estero già messa in preventivo. Circa 1 su 10, invece, la considera un'opportunità soprattutto per imparare alla perfezione una o più lingue straniere. Appena il 5% aspira al titolo estero come un trampolino di lancio per trovare un lavoro migliore in Italia. 

 

Un viaggio-studio all'estero è nei piani dei più

E i numeri potrebbero essere ancora più ampi perché, se consideriamo gli anni degli studi universitari, un ulteriore 54% aspira comunque a trascorrere un periodo di formazione all'estero (il 32% anche medio-lungo), lasciando momentaneamente il nostro Paese per aderire a progetti come l'Erasmus o gli scambi studenteschi internazionali. A conti fatti, solo il 16% delle aspiranti matricole ipotizza un percorso universitario totalmente autarchico fino al conseguimento della laurea . 

 

Pochi soldi e distanza da casa i freni maggiori alla partenza

A frenare questi ultimi due segmenti sono soprattutto motivi di ordine economico e affettivo. Le insufficienti risorse economiche per potersi mantenere all'estero per un tempo prolungato e la voglia di non allontanarsi troppo dagli affetti (famiglia, fidanzati, ecc.) sono infatti le due ragioni in cima alla lista, entrambe addotte dal 15% dei contrari all'espatrio. Un approccio, tra l'altro, raramente influenzato da condizionamenti ambientali ma spesso frutto di una decisione individuale: ad esempio, solo in 1 caso su 4 sono i genitori a spegnere sul nascere le velleità di partenza. Pareri sicuramente meno determinanti di quanto avviene per gli studenti proiettati verso fuori: qui le idee della famiglia incidono di più, in almeno 4 casi su 10.

 

Università straniere in Italia: in pochi le conoscono

La possibilità di studiare in università straniere, riconosciute dal ministero dell'Istruzione, che hanno sedi anche sul territorio italiano, magari vicino casa, sarebbe un’opzione che limiterebbe sia il distacco dai propri cari sia l’esborso di soldi, mantenendo il carattere internazionale degli studi. Ma solamente poco più di un terzo (38%) dei maturandi intervistati è informato su questa opportunità.

 

Il futuro è oltre i confini nazionali

Il fascino per le esperienze all’estero non si esaurisce, però, al raggiungimento della laurea. Oltre a quel 66% che gradirebbe una vita lavorativa fuori Italia (e cercherà di impegnarsi per concretizzarla), un altro 28% la mette tra le possibilità, anche se preferirebbe rimanere. Così, a conti fatti, appena il 6% vorrebbe restare in patria a tutti i costi.

 

Fondamentale il legame tra università e lavoro

Nonostante la giovane età, infatti, la stragrande maggioranza dei maturandi già pensa al domani. Il mondo del lavoro, specie in questo periodo, si presenta ai loro occhi estremamente competitivo e per questo quasi tutti - sia tra chi guarda all'estero sia tra chi vuole restare - pensano che l'università ideale dovrebbe permettere di fare esperienze professionali 'di livello' già durante il corso di laurea (lo sostiene il 94%) e, in generale, deve avere collegamenti diretti con le aziende di riferimento dei vari settori in cui forma i suoi iscritti (lo sostiene  il 95%).

 

Un orientamento condiviso anche dagli atenei. Secondo Erica Brignolo, Head of Corporate Relations & Partnerships di ESCP Torino Campus, “il ruolo dell'università è quello di preparare i giovani al mondo del lavoro e il modo migliore per farlo è di metterli in contatto con le aziende il prima possibile, guidandoli nella ricerca di uno stage e accompagnandoli nel loro percorso di crescita personale e professionale”. Ma lo stage non è l’unico modo per creare questa connessione: “un fattore determinante, che è anche un nostro punto di forza - sottolinea Brignolo - è proprio l’ampio e ramificato network di imprese, top manager ed ex allievi con cui i nostri studenti entrano in contatto costantemente, sia in occasioni formali che informali: dalla Career Fair ai Business Leader Talks, dai Collective Project a eventi di networking, fino ai workshop su curriculum vitae, cover letter e simulazioni d’interviste”. 

 

Formazione professionale e conoscenza delle lingue fanno la differenza

La ricerca di una chiara formazione professionale, forse anche figlia delle storie di quei pluri-laureati che spesso svolgono lavori per i quali sarebbero bastati meno titoli, è proprio quella che spingerebbe 2 aspiranti matricole su 3 a fermarsi volentieri alla laurea di primo livello, se questa garantisse la possibilità di inserirsi subito nel mondo delle professioni. Il tutto naturalmente corredato dalla conoscenza delle lingue straniere, fondamentale per oltre 8 su 10: per il 15% ne può bastare una (ma padroneggiata quasi come l'italiano), per il 39% ne servono almeno due, per il 28% ne occorrono addirittura tre. 

 

Competenze linguistiche che, tuttavia, come puntualmente dimostrano anche i risultati delle prove INVALSI, per molti sono ancora da acquisire anche una volta diplomati. Per questo, 1 su 2 ritiene importante o addirittura decisivo che, pur recandosi in un ateneo straniero, gli venga comunque messa a disposizione un’interfaccia (meglio se in carne ed ossa) in lingua italiana.
 

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