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Bianchi: "Tra 10 anni 1,4 milioni di studenti in meno" | Trend inarrestabile o opportunità di ripartenza?

Il ministro dell’Istruzione ha lanciato l'allarme su possibili conseguenze negative anche per il corpo docente. Una situazione facilmente prevedibile a cui solo la pandemia, paradossalmente, potrebbe porre rimedio

 scuola, bambini, classe
Ansa

Rassegniamoci: la popolazione scolastica è destinata a calare, gradualmente ma inesorabilmente, da qui ai prossimi anni. E la notizia è che non si tratta di una sorpresa: già dal 2018 - come “voce di uno che grida nel deserto” -  la Fondazione Agnelli pubblicava uno studio in cui preconizzava che nella decade successiva, quindi entro il 2028, ci sarebbe stato un milione di studenti in meno. Una proiezione allarmante a cui però il Paese reagì come suo solito quando si parla di scuola, ovvero con sostanziale indifferenza. Tant’è che lo stesso Direttore della Fondazione Agnelli, Andrea Gavosto, a settembre 2019 dovette constatare che “il tema non ha ancora conquistato l’attenzione che merita, a parte le reazioni dei sindacati della scuola, preoccupati per la possibile contrazione del numero di docenti”.  

Ogni anno che passa sempre meno gli studenti iscritti

E con un tasso di natalità sempre più basso e una riduzione dei flussi migratori netti, dati Istat alla mano, la situazione non poteva che peggiorare. Al punto che la stima, per la prossima decade, è stata rivista in ulteriore aumento, prefigurando una perdita di 1.4 milioni di studenti. Questo è anche il numero che ha indicato in audizione in Parlamento il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi. Tradotto in percentuali, come sottolinea un’analisi del portale Skuola.net, vuol dire il 18% in meno di unità rispetto all’a.s. 2020/2021, quando ai nastri di partenza si sono presentati circa 7.5 milioni di alunni. E ogni anno che passerà, purtroppo, la perdita nella decade successiva sarà una costante: secondo l’ISTAT dai 456 mila nati nel 2018 si prevede di arrivare nel 2060 a circa 300 mila. Non proprio la metà ma poco ci manca. A meno che la pandemia, con i relativi investimenti per la ricostruzione, non riproduca i meccanismi che hanno portato al baby boom dopo la Seconda Guerra Mondiale.

 

Le conseguenze per il corpo docente

C’è poi il tema insegnanti. In assenza di variazioni all’attuale normativa sulla composizione degli organici, che ha dato vita alle famigerate “classi pollaio”, questa contrazione si tradurrebbe in una perdita anche di posti di lavoro per i docenti: sempre Fondazione Agnelli nel Rapporto edilizia scolastica (Laterza, 2020) stimava fino a 66.000 cattedre in meno per l’anno scolastico 2029-2030. Tuttavia, la pandemia ha rimescolato le carte in tavola e ci ha fatto rendere conto del sovraffollamento delle classi. Seppur per questioni sanitarie.

 

La pandemia può aiutare a ristrutturare il sistema scolastico

Così, la riduzione degli studenti paradossalmente può rappresentare una straordinaria opportunità per riequilibrare la situazione: a parità di organico e quindi di spesa, si potranno allestire delle classi meno numerose. Questo è anche uno degli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che prevede un’azione specifica in tal senso. Come anche l’estensione del tempo pieno ad una fascia quanto più ampia possibile della popolazione scolastica. Insomma, per garantire più classi e più ore di lezione erogate per studente rispetto alla situazione attuale, serviranno più docenti in rapporto agli alunni di quanti non siano ora.

 

Verso una decrescita nazionale

Quindi tutto è bene quel che finisce bene? Non proprio. Perché la demografia del nostro Paese non sta cambiando ovunque in maniera lineare. Da qui al 2029, sempre secondo le proiezioni della Fondazione Agnelli, ci saranno zone e cicli scolastici dove gli studenti potrebbero, per qualche anno, aumentare seppur di poco. Mentre in altre la riduzione sarà costante e ancora più marcata rispetto al dato medio del paese. E il Sud, ancora una volta, sarà la macro-regione geografica dello Stivale dove si registrerà la contrazione maggiore del numero di alunni. Nord e Centro, invece, assisteranno a perdite più limitate fino alle scuole medie, per poi invece aumentare leggermente il proprio fabbisogno nel segmento delle scuole superiori. Ma sarà solo una questione di tempo perché la decrescita arriverà anche lì.

 

In arrivo una nuova migrazione?

Resta, quindi, necessario affrontare seriamente la questione della mobilità dei docenti. Da una parte è giusto e doveroso stabilizzare i precari, in qualche modo, e conservare i diritti acquisiti dei docenti assunti a tempo indeterminato. Dall’altra gli studenti non sono frigoriferi: non si possono spostare dove c’è abbondanza di docenti per conservare il posto di lavoro di questi ultimi. E proprio come nel secondo dopoguerra, potrebbe esserci di nuovo la necessità di una chiamata alle cattedre di docenti del Sud per gli studenti del Nord. 
 

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