Un racconto durato mezzo secolo

Leoncavallo, quando e come è nato il più noto centro sociale di Milano

Sorto nel 1975, ha occupato diversi sedi e subito ben 133 tentativi di sgombero

di Manuel Santangelo
21 Ago 2025 - 17:15
 © Ansa

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Ne è passato di tempo da quel primo volantino, ancora leggibile sul sito del centro, dove la “popolazione democratica e antifascista” veniva invitata a visitare uno spazio in cui si annunciavano iniziative come un asilo nido, una palestra popolare e dibattiti culturali e sociali. Era il 1975 e il Leoncavallo era appena nato lì, nei pressi di un’area dismessa di 3.600 metri quadri, al numero 22 della via da cui prendeva il nome. Nel tempo quanto promesso in quel documento venne effettivamente realizzato, creando uno spazio importante per la storia della città.

Nacquero ad esempio progetti ancora oggi ricordati, come "Radio Specchio Rosso", "la Casa delle Donne" e "la Scuola Popolare". Ora, mezzo secolo dopo, il Leonka chiude i battenti: quello sgombero ritardato già ben 133 volte è arrivato, un po' a sorpresa, in una Milano quasi vuota.

Il centro sociale milanese per eccellenza

 Quando negli anni Novanta Le Monde definiva i centri sociali "il fiore all’occhiello della cultura italiana" pensava anche al Leoncavallo sebbene, in quel decennio, lo spazio si fosse già di molto trasformato rispetto a ciò che era in origine. Nel 1994 il Leonka aveva infatti già cambiato casa e un po' anche anima, dopo quei caldi anni '70 che ne avevano visti i natali. Era da quasi trentuno anni che l'indirizzo del centro era ormai in via Watteau, ultima tappa di un pellegrinaggio che lo ha visto passare dalla storica prima sede nella vecchia periferia operaia del Casoretto, passando da via Salomone, per approdare poi a Greco, in via Watteau appunto. Negli anni è cambiato tutto, anche la fauna del posto, che non era a un certo punto più formata solo da quei "comitati di Caseggiato” che avevano visto nascere il Leoncavallo quel 18 ottobre 1975: collettivi antifascisti e Avanguardia Operaia più alcuni esponenti di Lotta Continua e Movimento Lavoratori per il Socialismo furono i padri di quella prima occupazione da cui poi fiorì una realtà per sua natura "in direzione ostinata e contraria", eppure apprezzata anche dai più insospettabili.

Una storia che ha incrociato anche la politica

 Il Corriere della Sera ha ricordato quando a difendere la dignità dello spazio e dei ragazzi che lo vivevano c'era addirittura Matteo Salvini, allora giovane consigliere del Carroccio, che si metteva di traverso alla crociata lanciata dal sindaco (proprio della Lega) Formentini. Poi arrivò anche Vittorio Sgarbi, al tempo assessore alla cultura della giunta Moratti, che ricordò a tutti il valore artistico di quei murales in via Watteau. La vera cesura però, quella che smise di far definitivamente pensare al Leonka come a uno spazio nemmeno discutibile per la destra, arrivò nel discorso di insediamento a Palazzo Madama del presidente del Senato Ignazio La Russa. Quel giorno proprio quest'ultimo rese infatti omaggio a Fausto e Iaio, due personalità tragicamente fondamentali nella storia del centro, ben prima di tragica morte accorsa nel marzo del 1978: "Mi inchino davanti alle loro memoria", disse La Russa, ricordando una stagione difficile che lui stesso aveva vissuto stando tendenzialmente dall'altra parte della barricata.

Fausto, Iaio e una ferita rimasta aperta

  Il 18 marzo del '78 la storia del Leoncavallo e non solo visse una svolta, una deviazione non voluta e sicuramente tragica. Quel giorno Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci (per tutti Fausto e Iaio) vennero uccisi, in uno di quei delitti di cui è pieno il nostro Paese: quelli in cui non solo non si sa da decenni non solo il colpevole ma anche il movente. Si ipotizzò ovviamente da subito una matrice politica, in quegli anni di piombo in cui ci si sparava senza fare troppi complimenti. Ma poi ci fu anche chi scagionò l’estrema destra, spiegando quei due omicidi con le indagini che quei due ragazzi stavano conducendo sul traffico di droga nel quartiere. Le madri di Fausto e Iaio diedero a quel punto forma alle "madri del Leoncavallo", un collettivo che diventa ben presto qualcosa in più di un semplice modo di esorcizzare la perdita, trasformandosi in un'entità che  fino all'ultimo ha mantenuto voce in capitolo sugli sviluppi di questa storia.

Gli anni Ottanta e la scena alternativa

 La cicatrice di quelle due scomparse, quel sangue innocente che aveva finito per scorrere, aveva segnato non solo l'epopea del Leoncavallo ma anche quella di tutto il Paese. La cappa di morte di quegli anni venne allontanata nel decennio successivo, quello della Milano da bere e del disimpegno politico. Al Leonka nascono comunque progetti come l'Helter Skelter, un portato di pratiche e iniziative culturali che apportano cambiamenti a tutta la collettività della zona, ma qualcosa è cambiato. Si assiste a diversi tentativi di sgombero (anche sfociati in violente proteste) ma il Leoncavallo resta un luogo importante, fondamentale anche per la scena musicale alternativa milanese. Come in altri luoghi simili in Italia anche al Leonka prosperò il punk e l'hardcore più indipendente. Sempre lì nacquero poi anche i primi sedimenti di una scena rap senza cui non avremmo sicuramente la febbre hip-hop di oggi (basti pensare che lo ying e lo yang della scena, dai Club Dogo fino a Fedez, deve in egual misura molto al centro sociale).

Gli sgomberi sfiorati dagli anni Duemila

 Negli anni Novanta, ai tempi in cui le rime e i beat trovarono casa al Leoncavallo, si consumò l'ultimo grande trasloco: dopo il breve tentativo di sfruttare uno stabile in Via Salomone, l’8 settembre 1994 venne occupata l'ex cartiera in via Watteau. A lungo parve esserci quasi un gentelman agreemeent con il proprietario ufficiale Marco Cabassi, che per alcuni anni non richiese lo sgombero. Il Leoncavallo ebbe quindi una rinascita. Cambiò anche nome, ribattezzandosi Leoncavallo S.P.A. (Spazio Pubblico Autogestito). Poi dal 1999 un lungo tira e molla e quello spettro dello sgombero che veniva sempre evitato all'ultimo, con la famiglia Cabassi che tornava a far valere i propri diritti sullo spazio nel 2005. Da allora vent'anni di rinvii, 133 in totale, con il Leonka che sembrava proprio "non dover morire", come la Misery di Stephen King. Il 21 agosto però, in un giorno che sapeva di fine estate e di fine delle illusioni, alla fine lo sgombero si è concretizzato.

Una vera fine?

  Il sindaco di Milano Beppe Sala, in passato frequentatore del Leoncavallo, ha parlato di uno spazio che rappresenta "un valore storico e sociale nella città", dicendosi pronto a collaborare ancora con i responsabili dell'attività del centro sociale, per "continuare ad emettere cultura, chiaramente in un contesto di legalità". Martina Boer, presidente dell'associazione Mamme Antifasciste del Leonka, non ha ancora del tutto gettato la spugna dopo lo sgombero e al Cosmopolitan ha rilanciato: "Noi elaboriamo delle idee e le proponiamo alla comunità. L’abbiamo fatto per 50 anni e continueremo a farlo anche in questo caso". Forse l'ultima pagina sulla storia del Leoncavallo non è stata scritta, mentre più di qualcuno spera (o teme) l'ennesima resurrezione.

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