Nel nostro Paese "mancano gli infermieri e soffre la medicina generale": è quanto emerge dall'ottavo Rapporto della Fondazione, presentato alla Camera dal presidente Nino Cartabellotta, che analizza e monitora la sostenibilità e l'efficienza del Servizio Sanitario Nazionale
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La "lenta agonia" del Servizio Sanitario Nazionale rischia di aprire sempre più la strada al privato. È quanto emerge dall'ottavo Rapporto Gimbe, che analizza e monitora la sostenibilità e l'efficienza del Ssn: negli ultimi tre anni, afferma Gimbe, la sanità pubblica ha perso 13,1 miliardi di euro, mentre 41,3 miliardi sono a carico delle famiglie. In particolare, un italiano su 10 ha dovuto rinunciare alle cure e nonostante l'Italia sia al secondo posto in Europa per numero di medici, resta indietro per quanto riguarda gli infermieri. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per la salute registra inoltre gravi ritardi: solo il 4,4% delle case della comunità è pienamente operativo.
"Se è certo che nel triennio 2023-2025 il Fondo sanitario nazionale è aumentato di 11,1 miliardi di euro - rileva Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione Gimbe, durante la presentazione del Rapporto presso la Camera dei Deputati - è altrettanto vero che con il taglio alla percentuale di Pil la sanità ha lasciato per strada 13,1 miliardi. Infatti, la percentuale del Fsn sul Pil al 31 dicembre 2024 è scesa dal 6,3% del 2022 al 6% del 2023, per attestarsi al 6,1% nel 2024-2025". Dunque, avverte, "siamo testimoni di un lento ma inesorabile smantellamento del Ssn, che spiana inevitabilmente la strada a interessi privati di ogni forma - spiega Cartabellotta -. Continuare a distogliere lo sguardo significa condannare milioni di persone a rinunciare alle cure e al diritto fondamentale alla salute".
Cartabellotta ha poi aggiunto che, "nonostante le promesse dei governi, nessuno ha avuto finora la visione e la determinazione necessarie per rilanciare il Ssn con risorse adeguate e riforme strutturali. Le conseguenze sono - continua - aumento delle disuguaglianze, famiglie schiacciate da spese insostenibili, cittadini costretti a rinunciare alle cure, personale demotivato che lascia la sanità pubblica. È la lenta agonia di un bene comune che rischia di trasformarsi in un privilegio per pochi". Necessaria una convergenza di sforzi tra Governo, Regioni e Asl per trasformare le risorse in servizi accessibili, "altrimenti rischiamo di lasciare in eredità alle future generazioni strutture vuote e un pesante indebitamento. Il futuro del Ssn - conclude - si gioca su una scelta politica netta: considerare la salute un investimento strategico o continuare a trattarla come un costo da comprimere".
I dati che emergono dal rapporto Gimbe sul Ssn certificano un'Italia spaccata nel 2023: solo 13 Regioni rispettano i Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), prestazioni e servizi da garantire a tutti i cittadini gratuitamente o previo pagamento di un ticket. Al sud si salvano solo Puglia, Campania e Sardegna. La cartina al tornasole degli adempimenti Lea è la mobilità sanitaria che nel 2022 vale oltre € 5 miliardi: Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto raccolgono il 94,1% del saldo attivo, mentre il 78,8% del saldo passivo si concentra in 5 Regioni del Sud (Abruzzo, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) e nel Lazio, che registrano un saldo negativo oltre € 100 milioni. "Le conseguenze di questa permanente "frattura strutturale" tra Nord e Sud si riflettono anche nell'aspettativa di vita che in tutte le Regioni del Mezzogiorno è pari o inferiore alla media nazionale. Le stime ISTAT per il 2024 indicano una media nazionale di 83,4 anni con nette differenze regionali: dagli 84,7 anni della Provincia autonoma di Trento agli 81,7 della Campania, un gap di ben 3 anni", si legge nel rapporto. "Un drammatico segnale - commenta Cartabellotta - che testimonia la bassa qualità dei servizi sanitari del Mezzogiorno, oltre al fallimento di Piani di rientro e Commissariamenti nella riqualificazione e riorganizzazione sanitaria delle Regioni del Sud: qui i cittadini vivono una sanità peggiore, devono spendere per curarsi altrove e pagano imposte regionali più alte".
Sul fronte del personale sanitario, l'Italia non manca di medici ospedalieri ma soffre la carenza di infermieri: 6,5 ogni 1.000 abitanti contro una media Ocse di 9,5. La medicina generale resta invece scoperta, con oltre 5.500 medici mancanti. "Rimane incomprensibile la scelta di formare più medici senza prima arginare la loro fuga dalla sanità pubblica", afferma il presidente Nino Cartabellotta. La riforma dell'assistenza territoriale, inoltre, mostra ritardi e disomogeneità: al 30 giugno 2025, solo il 2,7% delle Case della Comunità attive dispone di personale medico e infermieristico, mentre gli Ospedali di Comunità attivi sono il 26%. Oltre al completamento delle strutture, rimane il nodo del personale: "carenza di infermieri e incertezze sulla reale disponibilità dei medici di famiglia a lavorare in queste strutture", rileva Gimbe.