La potenziale preda è indotta a restare immobile. La scoperta della Scuola di studi avanzati di Trieste e dell'Università di Harvard
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Fuggire o restare immobili: in natura la sopravvivenza dipende dalla capacità di fare questa scelta in una frazione di secondo. Ora, lo studio pubblicato sulla rivista Nature e guidato dalla Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa) di Trieste e dall'Università di Harvard ha scoperto come ciò avviene grazie a esperimenti svolti su topi: è l'ambiente circostante che, in alcuni casi, può spegnere l'interruttore cerebrale che controlla l'istinto di fuga, inducendo la potenziale preda a restare invece immobile.
Quando l'ombra di un predatore si profila i topi della specie Peromyscus maniculatus che vivono nella foresta, scappano, mentre i loro cugini Peromyscus polionotus che abitano in pianure aperte restano immobili. Per capire l'origine di questa differenza, i ricercatori hanno cercato l'interruttore cerebrale che guida questi comportamenti opposti. Grazie a tecnologie all'avanguardia, l'interruttore è stato localizzato in un'area profonda del cervello, smentendo l'ipotesi che fossero gli stimoli sensoriali i responsabili della risposta diversa.
"Ci ha sorpreso scoprire che l'evoluzione ha agito in una regione centrale del cervello e non, come si poteva pensare, nella percezione sensoriale periferica", dicono Katja Reinhard della Sissa e Felix Baier di Harvard. Entrambe le specie, dunque, percepiscono la minaccia allo stesso modo, cambia solo il modo con cui viene attivato l'interruttore: "Nei topi che vivono nei boschi la fuga da una potenziale minaccia è attivata da un comando immediato di 'corri'", continua Reinhard. "Nel cugino che vive in spazi aperti, non c'è alcun comando di questo tipo. Questa differenza può essere interpretata come una riorganizzazione evolutiva dei circuiti neurali per adattare al meglio la risposta di sopravvivenza", conclude la ricercatrice.