Da un lato c'è chi la considera un pilastro della democrazia, dall’altra c’è chi la percepisce come un privilegio che allontana la politica dai cittadini, alimentando la sensazione che gli eletti vivano al di sopra delle regole comuni
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Solo un anno fa le immagini di Ilaria Salis, portata in tribunale a Budapest con mani e caviglie incatenate, avevano fatto il giro del mondo. Quelle foto erano diventate il simbolo delle dure condizioni di detenzione in Ungheria e avevano acceso un dibattito internazionale sui diritti umani. Oggi la stessa attivista siede tra i banchi del Parlamento europeo come eurodeputata e gode dell’immunità parlamentare, una protezione che ha cambiato radicalmente la sua vicenda personale e politica.
La Commissione giuridica del Parlamento europeo ha respinto la richiesta di revocare l’immunità a Ilaria Salis. Una decisione non ancora definitiva: la votazione finale è attesa per il 7 ottobre a Strasburgo. Ma sta già facendo discutere.
Il caso Salis non si limita a una questione personale o giudiziaria, ma ha riaperto un dibattito antico e mai sopito: quello sull’immunità parlamentare. Ogni volta che questo strumento entra in gioco, l’opinione pubblica si spacca. Da una parte c’è chi la considera un pilastro della democrazia, indispensabile per proteggere gli eletti da pressioni indebite, soprattutto nei Paesi dove la giustizia non gode di piena indipendenza. Dall’altra, c’è chi la percepisce come un privilegio che allontana la politica dai cittadini, alimentando la sensazione che gli eletti vivano al di sopra delle regole comuni.
Il caso Salis è emblematico perché unisce una vicenda personale forte, con immagini che hanno colpito l’opinione pubblica mondiale, e un contesto politico in cui il tema della giustizia e delle garanzie democratiche è particolarmente sensibile. Non a caso, la sua elezione al Parlamento europeo ha acceso un dibattito che va ben oltre le aule di Strasburgo, investendo direttamente il rapporto tra cittadini e istituzioni.
Per capire perché l’immunità susciti tante polemiche bisogna chiarire cosa sia davvero. Non si tratta di un lasciapassare che cancella le accuse, ma di un meccanismo di protezione che sospende i procedimenti giudiziari fino a quando il Parlamento non decide se autorizzarli o meno. L’obiettivo è assicurare che gli eletti possano esercitare liberamente il loro mandato, senza il timore che governi o tribunali ostili possano usarli come bersaglio politico.
Il riferimento normativo è il Protocollo n.7 sui privilegi e immunità dell’Unione Europea, che all’articolo 9 stabilisce che gli eurodeputati non possano essere arrestati o processati senza l’autorizzazione dell’assemblea, tranne nei casi di flagranza di reato. È un principio che esiste in molte democrazie: non un’assoluzione preventiva, ma uno scudo pensato per difendere la libertà politica. Tuttavia, proprio perché consente di bloccare i procedimenti giudiziari, è spesso percepito come un privilegio che rischia di minare la fiducia nelle istituzioni.
Il nodo centrale resta la percezione. I sostenitori dell’immunità ricordano che senza questa garanzia sarebbe impossibile garantire la libertà parlamentare in Paesi dove lo Stato di diritto è fragile. Nei casi più estremi, la revoca indiscriminata potrebbe trasformarsi in un’arma per silenziare le voci critiche. Non manca, però chi vede nell’immunità un simbolo di impunità: perché un cittadino comune deve affrontare un processo subito, mentre un eurodeputato può sospenderlo?
La Corte di Giustizia dell’UE ha cercato di tracciare confini più chiari. Secondo i giudici, l’immunità non copre automaticamente i reati commessi prima dell’elezione e va applicata con prudenza, caso per caso, per evitare abusi. Una linea che mostra come questo istituto non sia un salvacondotto, ma un meccanismo delicato che richiede equilibrio e trasparenza.
Il caso Salis non è isolato. Negli ultimi anni l’immunità parlamentare è stata al centro di vicende che hanno diviso l’opinione pubblica in tutta Europa. Nel 2021 il Parlamento europeo ha revocato la protezione a Carles Puigdemont e ad altri leader indipendentisti catalani, aprendo la strada alle richieste di estradizione della Spagna.
Nel 2023 è stata la volta di Marc Tarabella e Andrea Cozzolino, coinvolti nello scandalo “Qatargate” con le accuse di tangenti legate a Qatar e Marocco. Anche in quel caso, la revoca fu decisa per permettere alla magistratura di indagare senza ostacoli. Più recentemente, eurodeputati polacchi del partito PiS hanno visto messa in discussione la loro immunità per presunte violazioni di legge interne, a conferma di quanto questo strumento sia spesso terreno di scontro politico oltre che giuridico.
Il voto della Commissione giuridica non chiude la vicenda. Sarà la plenaria del Parlamento europeo, il 7 ottobre, a stabilire se Ilaria Salis manterrà l’immunità o se l’Ungheria potrà procedere con il processo. Fino ad allora, la sua storia resta sospesa tra politica e giustizia, diventando simbolo di un dibattito che non riguarda solo lei ma il rapporto stesso tra istituzioni e cittadini.
La domanda resta aperta e continua a dividere: l’immunità parlamentare è davvero lo scudo che protegge la democrazia o un privilegio che mina la fiducia verso la politica?