Leopoldo Cozzolino, operatore territoriale della Sede Territoriale di Napoli, racconta trent’anni di servizio, relazioni e sogni condivisi, mostrando come il volontariato possa trasformare persone e territori
© Lega del Filo d'Oro
Da trent’anni Leopoldo Cozzolino è uno dei punti di riferimento della Sede Territoriale di Napoli della Lega del Filo d’Oro. Il suo percorso nasce alla metà degli anni Novanta e si sviluppa nel tempo attraverso ruoli diversi, ma sempre con la stessa idea di fondo: costruire relazioni solide, sostenere le famiglie e contribuire alla crescita di servizi capaci di rispondere ai bisogni delle persone sordocieche. La sua storia professionale e umana è intrecciata ai cambiamenti del territorio, alle sfide dell’inclusione e al valore dei legami che si creano nel lavoro quotidiano. Un percorso dove leggerezza, concretezza e visione hanno trovato un equilibrio unico.
Nel descrivere il proprio modo di lavorare, Leopoldo usa immagini che svelano una filosofia chiara: “Mi definisco un operatore di relazioni, un incrocio tra l’Ape Maia che svolazza da un fiore a un altro e l’Uomo Ragno che tesse ragnatele tra realtà che alle volte non vogliono proprio sentir parlare di reti”. Il suo, è chiaro, è un approccio che unisce ironia e capacità organizzativa. Nei contesti che frequenta, viene spesso scambiato per volontario, papà, autista o tirocinante: ruoli diversi che, nella sua lettura, rivelano semplicemente la vicinanza a chi incontra.
Per Leopoldo esiste un “impasto ideale” del volontario, fatto di tre ingredienti: forza, coraggio e fantasia. “Ci vuole tanta forza per provare a realizzare l’inclusione, ma anche per accettare i nostri limiti”, dice, spiegando poi come serva “il coraggio di attendere una risposta senza sostituirsi all’altro” e la fantasia, intesa come “la capacità di vedere opportunità lì dove nessuno le vede». A questi aggiunge una qualità che considera determinante: la sensibilità, la capacità di lasciarsi toccare dai percorsi delle persone.
Il cammino di Leopoldo all’interno della Lega del Filo d’Oro inizia nel 1995. Dopo alcune esperienze come accompagnatore e interprete, racconta di una telefonata inaspettata mentre si trova nell’area di servizio di Caserta Nord, diretto a visitare un ragazzo con pluridisabilità psicosensoriale. Ricorda quell’attimo con precisione: “Chiamo per aggiornare il Segretario Generale e lui inizia a parlarmi di un sogno relativo alla Campania”. Da quella conversazione prende forma il progetto di una Sede Territoriale a Napoli. Pochi giorni dopo, Leopoldo inizia a seguire le prime quattro persone della regione, utilizzando inizialmente come numero della sede quello di casa dei suoi genitori. È l’inizio di una realtà che negli anni si strutturerà fino a diventare uno dei presidi territoriali della Fondazione.
In questo passaggio, il suo percorso professionale cambia direzione: da infermiere a operatore territoriale, passando per funzioni educative e sociali modellate sulle esigenze del territorio. “Il mio motto è “multum et male”: tutto e male», dice con ironia, riferendosi alla versatilità che lo ha accompagnato fin dall’inizio.
Lo sviluppo della Sede Territoriale di Napoli è passato attraverso la costruzione di reti con scuole, servizi, Istituzioni e professionisti. Leopoldo sottolinea l’importanza di una collaborazione continua basata su osservazione, confronto e dialogo. Il suo lavoro quotidiano ha contribuito nel tempo a diffondere una cultura dell’inclusione più attenta. La crescita della Sede, oggi punto di riferimento regionale, è anche il risultato di un approccio che ha sempre cercato di tenere insieme ascolto, professionalità e radicamento sociale.
Nel corso degli anni, Leopoldo ha seguito percorsi che hanno portato bambini, ragazzi e adulti a costruire nuove autonomie. Tra le storie che ricorda con maggior chiarezza c’è quella di un giovane che, grazie a un lavoro condiviso tra Napoli e Osimo, è riuscito a iscriversi all’università, laurearsi con il massimo dei voti e diventare avvocato. “È bello coinvolgere, è bello essere coinvolti nella realizzazione del sogno dell’altro”, afferma. È un principio che guida il suo modo di accompagnare le famiglie, aiutandole a trasformare desideri e aspettative in progetti concreti e percorribili.
Guardando avanti, Leopoldo parla di sogni che hanno il sapore di un programma di lavoro: un Paese dove i diritti siano riconosciuti ovunque, una società in cui la parola “inclusione” abbia pieno valore, servizi accessibili senza ostacoli burocratici. E aggiunge un’immagine che sente particolarmente sua: “Quando corri diventi un po’ sordocieco… non vedi i colori e i paesaggi, non senti i suoni, ma solo i rumori”. Per lui l’ascolto è una pratica che richiede tempo, capacità di fermarsi e attenzione verso l’altro. È un insegnamento che, dice, gli hanno trasmesso proprio le persone con sordocecità.