Speciale Il conflitto in Medioriente
LA TESTIMONIANZA DALLA STRISCIA

Gaza, Martina Marchiò (Msf) a Tgcom24: "Si muore di bombe e di fame, si cura chi ha più chance. Non c'è più tempo"

La responsabile medica di Medici Senza Frontiere: "L'81% della Striscia è occupata, un giorno ci vergogneremo di tutto questo. I colleghi palestinesi sono in prima linea per salvare vite, ecco le storie della loro resistenza"

di Micaela Nasca
25 Mag 2025 - 13:41
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Nella Striscia di Gaza o si muore di bombe o si muore di fame. Dopo quasi 20 mesi di guerra la popolazione è allo stremo. L’intensificazione delle operazioni terrestri israeliane e i nuovi ordini di evacuazione hanno ulteriormente aggravato una situazione di disperata lotta per la sopravvivenza.  “Sembra l’inizio della guerra per la forza, la violenza, la velocità degli attacchi. Stiamo toccando il punto di non ritorno. Se non arriva il cessate il fuoco, siamo a fine corsa. I miei colleghi palestinesi mi scrivono: Martina, se muoio ricordati di me, racconta di me, non voglio essere un numero in questa carneficina". 

Martina Marchiò è a Gaza City ed è la responsabile medica per le attività di Medici Senza Frontiere. Ci è tornata un anno dopo la prima missione 

“Nel nord della Striscia di Gaza non ci sono più ospedali funzionanti, a Gaza City gli ospedali pubblici sono solo tre e per un milione e 300 mila persone non è sufficiente. Nell’ultima settimana nella Striscia 20 strutture sanitarie sono stati colpite o obbligate a chiudere.  Noi lavoriamo a fianco dei colleghi palestinesi in un ospedale materno infantile e negli ambulatori. Cerchiamo di gestire una situazione umanitaria gravissima". 

Gli ospedali stessi sono spesso sotto attacco: qual è la situazione nelle strutture sanitarie? 

"Ogni giorno arriva un numero altissimo di feriti, senza contare tutti i pazienti che arrivano con patologie mediche riacutizzate. I pazienti cronici non ricevono cure da mesi. Nel nostro ambulatorio vediamo 400 pazienti al giorno e li vediamoli disperati per la paura di essere arrivati tardi e di non riuscire ad essere visitati da un medico"

La situazione è così grave che si è costretti a scegliere a chi somministrare le cure?

"Dobbiamo necessariamente razionare garze, antibiotici, antidolorifici e sedativi. Negli ospedali durante l’afflusso massivo di feriti si usano le poche risorse per chi ha più chance di sopravvivere. Ci sono pazienti vittime di esplosioni che sono morti in preda al dolore per la carenza di antidolorifici e sedativi."

Lo sblocco degli aiuti non ha modificato la situazione, perché?

"Lo sblocco degli aiuti con l’ingresso di 100 camion, mentre ne servirebbero oltre 600 al giorno per rispondere ai bisogni della popolazione, è una goccia nell’oceano, completamente insufficiente".

Anche dal punto di vista alimentare la crisi è avanzata. La popolazione affamata. Qual è il livello di malnutrizione? 

"Negli ultime due settimane aumentati i casi di malnutrizione sono aumentati del 32%. Noi aiutiamo come possiamo bambini, donne in gravidanze e allattamento.  Le persone non vedono riconosciuti neanche i loro bisogni di base: cibo e acqua per cominciare. Noi facciamo la distribuzione di acqua nella Striscia ma ce ne vorrebbe molta di più. Le persone arrivano nelle nostre cliniche, piangono e ci dicono che non mangiano da tre giorni. I prodotti scompaiono dai banchi del mercato, i prezzi lievitano, le persone non riescono a comprarli. I forni e le cucine comunitarie sono chiusi da settimane perché non c’è più farina, non c’è più niente".

E poi c’è questione dello sfollamento forzato, arrivano ordini di evacuazione da più parti: dove cerca rifugio la popolazione? 

"La maggior parte degli edifici è a terra. E quindi se riesci ti sposti con la tua tenda. E' una lotta alla sopravvivenza con le unghie e con i denti. Nell’ultima settimana siamo arrivati all’81% della Striscia occupata o sotto evacuazione. Ci sono attacchi da più parti della Striscia contemporaneamente. Va sempre peggio, non c’è più spazio. Le persone non sanno dove andare. Perché gli attacchi non sono solo nelle zone evacuate. Gli attacchi sono dappertutto"

Come arriva l'ordine di evacuazione?

"L’ordine di evacuazione arriva in diversi modi: telefonata, un messaggio o bigliettini lanciati dal cielo in cui c’è scritto quali sono i blocchi che devono andarsene e che presto colpiranno con la forza"

Dopo quanto può partire un attacco?

"Dai 10 minuti alle 48 ore, ma colpiscono tante volte anche senza ordine di evacuazione. L’altro giorno abbiamo passato circa 24 ore chiusi in una stanza perché i bombardamenti avvenivano a 150 metri da noi. Non sempre arriva un ordine di evacuazione e non sempre colpiscono nelle zone considerate rosse. Colpiscono invece, dove c’è un bersaglio. Il bersaglio ha sempre più valore di tutto quello che c’è intorno".

Come si fa a continuare a spostarsi senza una casa, senza più niente? Come reagisce la popolazione a questi ordini?

"La mia collega palestinese che ha due bimbi piccoli, quando è arrivato l’ordine di evacuazione, mi ha detto: Io non posso spostarmi più perché abbiamo paura di perdere tutto di nuovo e stanno già sparando in strada. E mi diceva: Martina, non voglio morire come mia mamma e mia sorella, Martina, ricordati di me, parla di me, non voglio essere un numero in questa carneficina, racconta la mia storia". Quando penso allo strazio di questa guerra penso sempre a loro"

A i suoi colleghi palestinesi?

"Sì, sono in prima linea e non si rassegnano ma non hanno più niente. Un’altra mia collega si prende cura dei suoi bambini, quattro sono suoi e quattro di sua sorella che è morta. Lei ha recuperato i corpi dei suoi familiari per la strada, ha visto cose orribili e vissuto tutte le atrocità di questa guerra, e non ha mangiato per settimane. Eppure lei, magrissima e sfinita, è qua in prima linea e tutto quello che guadagna lo mette a disposizione per gli otto bambini e, nonostante tutto, va avanti".

Cosa le racconta del suo stato d'animo? 

"L’altro giorno mi ha detto: lo sai, Martina, questo era il quartiere più bello a Gaza City, un tempo ce lo invidiavano tutti. E mi ha detto che a volte lei pensa che sia solo un incubo che un giorno si sveglierà e avrà di nuovo la sua famiglia e la sua vita. Poi mi ha mostrato le immagini della sua casa, non esiste più".

E anche per testimonianze come queste che lei, con Medici Senza Frontiere, è voluta tornare a Gaza? 

"Quello che sta succedendo è qualcosa di terribile di cui ci vergogneremo quando leggeremo i libri di storia. Volevo e dovevo dare il mio contributo. Certo, anche per noi la situazione è sempre più difficile a livello di sicurezza. Rischiamo di dover prima o poi andare via, non c'è più posto per nessuno. Ma quando le Organizzazioni sono costrette a lasciare i territori, possono aprirsi solo scenari peggiori. Oggi la comunità internazionale deve prendere una posizione, oggi. Domani è troppo tardi".

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