Fred Trump III, figlio del fratello maggiore del presidente, esprime timori per la salute mentale dello zio, richiamando la storia familiare di demenza
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Fred Trump III ha sollevato nuove preoccupazioni sulla salute mentale di Donald Trump, collegandole a una lunga storia familiare di Alzheimer. In un’intervista radiofonica, il nipote del presidente ha descritto segnali comportamentali osservati nei discorsi e nelle apparizioni pubbliche dello zio che gli ricordano da vicino il declino cognitivo del nonno Fred Trump Sr., morto dopo otto anni di battaglia contro l’Alzheimer. Le sue parole non sono un’accusa, ma un appello alla trasparenza: "Serve più chiarezza, soprattutto per chi guida un Paese importante come il nostro".
In un’intervista rilasciata a SiriusXM, Fred Trump III ha raccontato la sua crescente preoccupazione dopo aver osservato comportamenti del presidente simili a quelli vissuti con il nonno Fred Trump Sr., morto nel 1999 dopo anni di Alzheimer. “Non sono un medico, ma riconosco quei segnali”, ha dichiarato. Il nipote di Trump ha ricordato il modo in cui lo zio fatica a mantenere la coerenza nei discorsi pubblici, suggerendo che la famiglia dovrebbe affrontare apertamente il tema, nel rispetto del ruolo istituzionale ricoperto.
Fred Trump III ha raccontato anche le dinamiche più intime del clan nel suo libro "All in the Family: The Trumps and How We Got This Way", pubblicato nel luglio 2024 e subito diventato best seller. Oltre alle riflessioni sulla salute mentale, l’autore affronta temi come la disabilità del figlio William e il presunto ostracismo subito dalla famiglia dopo la morte del padre. Il volume ha suscitato reazioni contrastanti ma ha contribuito ad alimentare il dibattito sulla trasparenza e sulla responsabilità della figura presidenziale.
Fred Trump III invita apertamente Donald Trump a sottoporsi a un test cognitivo. Un’inversione di ruoli, considerando che nel 2020 era stato lo stesso presidente a vantarsi dei risultati ottenuti nel Montreal Cognitive Assessment, sollecitando l’allora rivale Joe Biden a fare lo stesso. “Non è una questione politica, è un tema di salute pubblica”, spiega il nipote, chiedendo che anche la genetica familiare sia tenuta in considerazione.
Quando si parla di Alzheimer, il primo pensiero va spesso alla perdita di memoria. Ed è proprio da lì che spesso iniziano a manifestarsi i primi segnali: dimenticanze ricorrenti, come appuntamenti o nomi appena ascoltati, oppure domande ripetute più volte nel giro di pochi minuti. Ma non è solo una questione di ricordi: chi è colpito dalla malattia può incontrare difficoltà nel compiere attività quotidiane che prima svolgeva con naturalezza, come cucinare una ricetta nota o gestire semplici conti.
Un altro campanello d’allarme è la confusione su date e luoghi: capita che non si riesca più a orientarsi nel tempo o a riconoscere ambienti familiari. Anche il linguaggio può diventare più povero e meno fluido, con parole che sfuggono e frasi interrotte a metà. Non mancano poi cambiamenti del comportamento: umore instabile, ritiro dalle attività sociali, irritabilità e giudizi fuori contesto. Sintomi che, presi singolarmente, potrebbero sembrare banali o legati all’età. Ma se si presentano insieme e con frequenza, meritano attenzione e, soprattutto, una valutazione medica approfondita.
Con i suoi 77 anni, Trump è ora il presidente più anziano della storia degli Stati Uniti. In un contesto politico sempre più attento all’età e alle capacità cognitive dei leader, la questione sollevata dal nipote rischia di avere un peso crescente. Il caso si inserisce in uno scenario ancora più delicato, visto che l’ex presidente Joe Biden, dopo mesi di pressioni e speculazioni sulla sua tenuta mentale, ha annunciato il ritiro dalla corsa alla rielezione proprio nel luglio 2024, lasciando il Partito Democratico a scegliere una nuova candidata, Kamala Harris. Al momento, dalla Casa Bianca non è arrivata alcuna replica ufficiale alle dichiarazioni di Fred Trump III, ma il tema potrebbe emergere con forza nelle prossime settimane.