L’arresto della performer italiana fa parte di una lunga serie di condanne contro donne e influencer egiziane accusate di "violazione dei valori familiari"
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L'arresto della danzatrice del ventre italiana in Egitto ha riportato l'attenzione su una realtà repressiva che colpisce sempre più spesso le donne attive sui social. Accusate di offendere la pubblica decenza, molte di loro finiscono dietro le sbarre per video o post ritenuti "immorali" dalle autorità locali. Il caso della performer italiana non è isolato: da Salma Elshimy a Haneen Hossam, la lista di influencer finite in cella si allunga.
Linda Martino, danzatrice del ventre di nazionalità italiana e seguitissima sui social, è stata arrestata in Egitto per presunte violazioni del decoro pubblico. Con milioni di follower tra Instagram e TikTok, la performer è stata accusata di "seduzione" e di "esporre parti sensibili del corpo" in alcuni video giudicati offensivi dai funzionari della sicurezza. L'arresto è avvenuto nell'ambito di una campagna di repressione morale condotta dalle autorità egiziane, che già in passato hanno colpito altre artiste e influencer.
Modella e influencer molto nota in Egitto, Salma Elshimy è stata condannata a sei mesi di carcere per aver pubblicato un video ritenuto "immorale". Non è la prima volta che la giovane finisce nel mirino delle autorità: già nel 2020 era stata arrestata dopo uno shooting fotografico a Saqqara, vicino a una piramide. Le sue immagini, tra abiti appariscenti e pose provocanti, sono state considerate "una minaccia ai valori familiari egiziani". Nel 2023, una nuova condanna le ha confermato una pena di due anni, con una multa di oltre 3.000 euro.
Due tra le TikToker più seguite d'Egitto, Haneen Hossam e Mawada Eladham, sono state arrestate nel 2020 con accuse di "violazione della moralità pubblica". Il caso ha suscitato clamore quando le ragazze sono state accusate anche di "traffico di esseri umani", per aver promosso sui social piattaforme di video streaming a pagamento. Hossam è stata condannata in appello a dieci anni di carcere, Eladham a sei. Le loro vicende sono emblematiche della repressione verso chi, soprattutto donne, tenta di monetizzare la propria immagine online.
Anche la ballerina Sama el-Masry è stata condannata a tre anni di reclusione per aver pubblicato video considerati indecenti. Le autorità l'hanno accusata di promuovere la corruzione morale. Stessa sorte per Manar Samy, influencer condannata nel luglio 2020 con l'accusa di "comportamenti contrari ai valori familiari". Entrambe avevano pubblicato contenuti ritenuti provocanti, come balli in costume da bagno e pose sensuali. I loro profili social sono stati oscurati e i video rimossi su ordine del tribunale.
Menna Abdelaziz, 18 anni, è stata arrestata nel 2020 dopo aver denunciato pubblicamente di essere stata stuprata. Anziché protezione, ha ricevuto accuse di "incitazione alla lussuria" e "offesa ai valori familiari" per aver condiviso la sua testimonianza via social. Il caso ha scosso l'opinione pubblica egiziana e internazionale, mostrando come anche le vittime di violenza possano finire sotto accusa. Dopo mesi di pressione da parte delle organizzazioni per i diritti umani, Menna è stata infine rilasciata.
Il quadro normativo egiziano si basa sulla legge sui crimini informatici del 2018. Le accuse più comuni sono "violare i valori familiari", "offendere la pubblica morale" e "incitamento alla lussuria". Pene previste: da sei mesi a tre anni di carcere, con multe che possono superare i 15.000 euro. La legge è ritenuta vaga e soggetta a interpretazioni arbitrarie, tanto che molte ONG internazionali la definiscono uno strumento di censura più che di giustizia.
Secondo Amnesty International e Human Rights Watch, dal 2020 almeno quindici donne sono state arrestate per contenuti diffusi su TikTok, Instagram o YouTube. Nella maggior parte dei casi, le accuse non riguardano reati violenti, ma semplici video di danza o dichiarazioni personali. Le associazioni denunciano una campagna sistematica per limitare la libertà di espressione femminile, soprattutto quando si tratta di donne indipendenti che usano il web per guadagnare o esporsi pubblicamente.