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Tra poco esauriremo le scorte italiane di pesce

Siamo costretti ad importare dallʼestero i due terzi di quello che mangiamo a tavola. Un giro di affari che comporta una perdita di oltre 5 miliardi di euro

Tra poco esauriremo le scorte italiane di pesce - foto 1
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Si chiama "Fish dependance day" ed è il giorno in cui si smette di mangiare le scorte di pesce nei propri mari e, di conseguenza, si consumerà quello acquistato all'estero.

L'Italia, nonostante la posizione ideale per la pesca, lo raggiunge tra aprile e maggio: prima della media europea, che è circa metà luglio. Saranno spesi circa 6 miliardi di euro di importazioni, a fronte di soli 705 milioni di export.

Il pescato nostrano ammonta a 348 milioni di tonnellate di pesce: assolutamente insufficienti per soddisfare gli oltre 20 chili di prodotti ittici pro capite mangiati ogni anno, stando ai report della FAO sullo sviluppo sostenibile. Riccardo Rigillo, direttore generale del settore pesca del Ministero dell'Agricoltura, commenta l'amore nostrano per la cucina di mare dicendo che "gli italiani mangiano pesce persino in montagna durante la settimana bianca!".


Sembra però paradossale che l'Italia abbia una bassa bassa produzione di pescato, nonostante la posizione centrale nel Mediterraneo. Per trovare una spiegazione, bisogna tornare agli anni '90, quando l'Europa forniva agli armatori contributi per eliminare dai mari le navi più grosse e inquinanti. La conseguenza è che i grandi pescherecci italiani rimasti sono solamente due e contribuiscono ad un business che, allo stato attuale, frutta un miliardo di euro all'anno, se si contano anche i 288 milioni di euro ricavati dalle vendite di prodotti ittici prelevati da acquacoltura

Il problema, però, non è solo economico. Il consumo di pesce è in continuo aumento a livello globale e la FAO lancia l'allarme: "un terzo del pescato a livello mondiale è prodotto a livelli biologicamente insostenibili", ciò comporta l'estinzione di molte specie di pesci e lo spopolamento di grandi zone del mare, con conseguenze definite "catastrofiche". Senza una regolamentazione, sarà un trend destinato a peggiorare e raggiungerà il suo picco negativo nel 2030. Rigillo rassicura, a margine della presentazione del Bruxelles Seafood Expo: "in Italia vantiamo parametri e standard fra i più rigorosi per la sostenibilità del mare e la tutela delle specie in sofferenza".