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Lavoro, stress in ufficio? Cassazione: "Il datore risponde per danni al dipendente"

Secondo la Corte, per rintracciare le responsabilità del malessere, non è necessario che si tratti di mobbing: sono sufficienti comportamenti, anche colposi, che ledano la personalità morale del lavoratore

01 Mar 2024 - 12:59
 © agenzia

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Se l'ambiente di lavoro è troppo stressante, al punto da causare danni alla salute del dipendente, a risponderne sarà proprio di datore di lavoro. E ne risponde anche se gli atti che hanno causato il disagio non sono qualificabili come mobbing. Lo ha stabilito la Cassazione che, con la sentenza 2084/2024 del 19 gennaio scorso, ha ribaltato il giudizio della Corte d'Appello, ribadendo che la salute psicofisica del lavoratore deve essere prioritaria rispetto a qualsiasi logica produttiva o economica.

© Tgcom24

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Il caso - La controversia riguarda una dipendente di un'azienda delle Marche che aveva portato in giudizio il datore di lavoro per ottenere il risarcimento delle sofferenze psichiche subite in ufficio. La richiesta risarcitoria era stata accolta in primo grado ma poi rigettata dalla Corte d’Appello, che non ha riscontrato negli atti e nei comportamenti del datore quel "comune intento persecutorio" che rappresenta l’elemento costitutivo del mobbing. Secondo la Corte d’Appello, tali attive potevano, al massimo, essere qualificabili come carenze gestionali e organizzative, ma mancavano di quell’intento persecutorio necessario perché si possa parlare di mobbing.

La sentenza ribaltata dalla Cassazione - Per la Cassazione, invece, la tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore non ammette sconti: fattori quali l’ineluttabilità, la fatalità, la fattibilità economica e produttiva non giustificano cedimenti delle misure di tutela e prevenzione. Pertanto, secondo la Corte, per rintracciare una responsabilità in capo al datore non è necessaria, come si richiede nel caso del mobbing, la presenza di un "unificante comportamento vessatorio": basta l’adozione di comportamenti, anche colposi, che possano ledere la personalità morale del lavoratore, come la tolleranza di condizioni di lavoro stressogene. Dunque, consludono i giudici, "la violazione da parte del datore del dovere di sicurezza (articolo 2087 del Codice civile) ha natura contrattuale e, per questo, il rimedio esperibile dal dipendente è quello della responsabilità contrattuale".

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