Il confronto tra il ministro Urso e i sindacati si chiude con preoccupazioni per oltre 4mila lavoratori in cassa integrazione. Chiesta la riapertura urgente del tavolo a Palazzo Chigi
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L'ex Ilva di Taranto torna al centro di uno scontro tra governo e sindacati. L'ipotesi di chiudere gli altiforni entro luglio alimenta la paura di una crisi occupazionale senza precedenti, con 4.050 lavoratori già coinvolti nella richiesta di cassa integrazione. Il ministro delle Imprese e Made in Italy, Adolfo Urso, rilancia la necessità di un accordo con gli enti locali, mentre i sindacati parlano apertamente di rischio "bomba sociale" e chiedono di riaprire subito il tavolo di confronto a Palazzo Chigi.
Al centro della trattativa resta il piano di decarbonizzazione del polo siderurgico, legato alla concessione dell'Aia e al coinvolgimento degli enti locali. Il progetto prevede interventi strutturali su tempi lunghi, fino al 2039, e comprende l'arrivo di una nave rigassificatrice, l'installazione di impianti Dri (preridotto) per alimentare forni elettrici e la costruzione di infrastrutture per la gestione delle acque industriali, tra cui un desalinizzatore. Secondo Urso, senza la condivisione di queste misure da parte degli enti territoriali non sarà possibile ottenere l'autorizzazione integrata ambientale, con il rischio di far saltare l'investimento internazionale previsto.
Il ministro Urso ha sottolineato che "gli enti locali hanno piena competenza territoriale" e che occorre "responsabilità" da tutte le parti in causa per evitare la paralisi dell'ex Ilva. Ma i sindacati non nascondono la preoccupazione. Loris Scarpa (Fiom Cgil) ha definito "gravissime" le dichiarazioni del ministro sulla possibile chiusura degli altiforni entro la fine di luglio, mentre la Fim Cisl con Ferdinando Uliano e Valerio D'Alò ha ammonito che "serve un accordo immediato per non trasformare la crisi in un disastro occupazionale". Duro anche il giudizio della Uilm: Rocco Palombella e Vera Buonomo parlano di uno "scaricabarile inaccettabile" e avvertono che senza l'intesa il tribunale di Milano potrebbe decretare la chiusura degli impianti.
Il quadro occupazionale è sempre più fragile. Acciaierie d'Italia ha già comunicato che fino a febbraio 2026 continuerà a produrre con un solo altoforno attivo, rallentando ulteriormente la ripartenza del sito di Taranto. La cassa integrazione riguarda al momento 4.050 lavoratori, di cui ben 3.500 nello stabilimento pugliese. I sindacati temono che questa situazione, unita alla prospettiva di fermare tutti gli altiforni, possa scatenare tensioni sociali e proteste difficili da governare.
Alla luce delle incertezze e delle divisioni emerse nell'incontro in videoconferenza, i rappresentanti sindacali hanno chiesto formalmente di riaprire il tavolo permanente a Palazzo Chigi per affrontare l'emergenza e individuare soluzioni immediate. L'obiettivo, spiegano, è superare lo stallo e garantire la continuità produttiva del sito siderurgico più importante d'Italia, evitando la desertificazione industriale e salvaguardando migliaia di posti di lavoro.