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Coronavirus, l'allarme di Confindustria di Bergamo: "Senza aiuti più del 50% delle aziende chiude" 

Nella città lombarda epicentro dellʼemergenza sanitaria, la crisi investe ogni settore. I dati locali confrontati con il panorama italiano

Da Bergamo, città all'epicentro lombardo dall'epidemia di coronavirus, il grido d'allarme di Confindustria per salvare il tessuto economico e imprenditoriale, ormai in ginocchio. Le difficoltà investono tutti i settori produttivi e in un sondaggio tra gli iscritti emerge che il 52% deglle aziende ritiene di non poter continuare la sua attività senza aiuti immediati dallo Stato. L'artigianato italiano, per esempio, ha già perso 7 miliardi di euro. In crisi, non solo nella Bergamasca, anche l'autotrasporto, costruzioni e gli esercenti.

Il sondaggio - La Confindustria Bergamo racconta così, con un sondaggio, le paure dei suoi iscritti. E se il 52% delle sue aziende non ritiene di poter andare avanti se non riceverà immediatamente un sostegno dal governo o più in generale dalle istituzioni, il 32% pensa di resistere al massimo un anno. Solo il 4% afferma di potercela fare comunque.

 

L'84% delle imprese ha già chiesto o richiederà la cassa integrazione, al massimo entro sei mesi, e tra le aziende bergamasche che hanno chiesto o si stanno apprestando a chiedere la Cig, una su due (il 48%) la attiverà per il 70-100% dei propri dipendenti.

 

I dati del primo Osservatorio mensile degli industriali dicono chiaramente che non c'è tempo da perdere, visto che Bergamo rappresenta un tessuto produttivo con un valore aggiunto di 32,5 miliardi, pari al 9,5% del Pil lombardo e al 2% di quello nazionale, con una quota di export del 16%.

 

"Questa indagine integra altre simulazioni che stiamo realizzando ormai da qualche settimana e alcune evidenze sono preoccupanti, anche gravi in certi casi", sottolinea Stefano Scaglia, presidente di Confindustria Bergamo. "Ma ci sono anche alcuni aspetti che ci confortano e che ci motivano ulteriormente a proseguire nelle nostre azioni affinché nessun player venga abbandonato", aggiunge, spiegando che "per garantire ossigeno alle imprese, è urgente che il sistema creditizio sia ridiscusso e che i parametri per valutare i prestiti siano stravolti" ossia "burocrazia e valutazioni con il 'bilancino' devono lasciare il campo a strumenti nuovi e ad approcci solidaristici da parte dello Stato e della Bce".

 

La situazione in Italia - Il coronavirus sta purtroppo mettendo in ginocchio interi settori dell'economia italiana: almeno 7 miliardi di euro di fatturato perderà l'artigianato nel mese di chiusura, dal 12 marzo al 13 aprile, secondo le stime della Cgia di Mestre.

 

E i comparti più colpiti sono anche quelli più rappresentativi: le costruzioni, ad esempio, vedranno una flessione di 3,2 miliardi (edili, dipintori, finitori di edifici), la manifattura di 2,8 miliardi (metalmeccanici, legno, chimica, plastica, tessile-abbigliamento, calzature) e i servizi alla persona di 650 milioni di euro (acconciatori, estetiste, calzolai).

 

"L'artigianato rischia di estinguersi, o quasi, in particolar modo nelle piccole città e nei paesi di periferia, molte attività a fronte dell'azzeramento degli incassi, degli affitti insostenibili e di una pressione fiscale eccessiva, non reggeranno il colpo e saranno costrette a chiudere", avverte il coordinatore dell'Ufficio studi Cgia, Paolo Zabeo, per cui se la situazione "non migliorerà entro fine maggio, è verosimile che entro il 2020 il numero complessivo delle aziende artigiane scenderà di almeno 300mila unità" ossia "il 25% delle imprese artigiane presenti in Italia chiuderà i battenti", fa notare.

 

Tra gli altri settori sotto stress c'è poi quello della logistica. La Fai Torino, la federazione degli autotrasportatori di Confcommercio, avverte che il sistema dell'autotrasporto e della logistica del Piemonte rischia il "default", con la conseguente possibilità di proteste "autonome e improvvisate" che metterebbero a "rischio la distribuzione dei generi alimentari", indicando un calo dei fatturati superiore al 50%. "A causa della chiusura della gran parte degli stabilimenti in Italia ed in Europa, i Tir sono costretti a tornare sempre vuoti, con pesanti perdite per le aziende di autotrasporto", spiega la Fai, ammonendo che se a queste criticità, "già così difficili da sostenere", si aggiunge la crisi di liquidità, "le conseguenze saranno devastanti per le imprese ed i lavoratori".

 

E stesso grido d'allarme degli esercenti che reclamano "liquidità con un sostenibile piano di riapertura delle attività o moriremo". Secondo un'indagine di Fipe, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, sulle imprese del turismo come bar, ristoranti, discoteche, stabilimenti balneari, catering, "per il 96% degli imprenditori, le prime misure del governo sono ancora insufficienti", per cui chiedono "liquidità immediata" per coprire i mancati incassi, pagare gli stipendi, i fornitori, gli affitti ma anche "l'annullamento" dei tributi e "prestiti a lungo termine, a tasso zero".

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