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Chiara Bacilieri: "Il benessere psicologico nelle aziende non è un lusso, ma una necessità"

Chiara Bacilieri, Marketing, Communications & Innovation Director di Mindwork, racconta la sua storia ai lettori di Tgcom24

di Carlotta Tenneriello
10 Nov 2025 - 05:00

Chiara Bacilieri, Marketing, Communications & Innovation Director di Mindwork

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© Ufficio stampa
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Chiara, vorrei conoscere meglio il tuo percorso: come sei arrivata a ricoprire un ruolo così importante e strategico in Mindwork e cosa ti ha spinta a intraprendere questa avventura?

Definirei il mio percorso “non lineare”, come credo lo sia ormai la maggior parte delle carriere oggi. Ho scelto di studiare Psicologia del lavoro e del marketing perché mi ha sempre affascinata la comunicazione: la capacità di una storia, di un’immagine o di una parola di arrivare alle persone. Per diversi anni mi sono occupata di neuromarketing in un’azienda tecnologica: un lavoro stimolante, che mi nutriva molto dal punto di vista intellettuale. Poi è arrivata la pandemia e, nel silenzio di quel periodo, mi sono resa conto che per quanto interessante fosse ciò che facevo, mi mancava qualcosa. Sentivo per la prima volta il bisogno che il mio lavoro contribuisse, anche in piccolo, a un cambiamento che valesse la pena costruire. In Mindwork ho trovato proprio questo: la possibilità di unire la psicologia e la comunicazione a un impatto sociale concreto, promuovendo equità e salute mentale nei luoghi di lavoro. In un certo senso, sono passata da occuparmi di psicologia applicata al marketing… al marketing per il benessere psicologico.

Mindwork è una realtà innovativa nel campo del benessere psicologico aziendale: qual è stata l’intuizione alla base del progetto?

Più che da un’intuizione, Mindwork nasce da una presa di coscienza: il benessere psicologico nelle aziende non è un optional né un lusso, ma una necessità. La pandemia lo ha reso evidente, ma i segnali c’erano già. Quando le persone stanno bene, lavorano meglio, restano più a lungo e si sentono parte di un progetto comune. Quindi non è solo una questione etica: è anche una questione di sostenibilità aziendale. Il benessere delle persone e quello delle organizzazioni sono due dimensioni che si alimentano a vicenda. Mindwork è nata per aiutare le aziende a rendere la salute psicologica parte integrante della loro strategia di crescita. Lo facciamo attraverso il supporto psicologico, la formazione e la comunicazione, diffondendo una cultura che mette al centro benessere, equità e inclusione.

Perché sta funzionando così bene, qual è la chiave del suo successo?

Credo che la chiave sia l’ascolto. Da una parte, sempre più aziende hanno capito che il benessere non è un benefit, ma una priorità strategica. Dall’altra, Mindwork riesce ad adattarsi rapidamente a bisogni che cambiano, costruendo percorsi su misura per le persone e per chi le guida. Oggi, per esempio, parliamo di benessere anche quando affrontiamo temi come il dialogo tra generazioni – in alcune aziende convivono fino a quattro generazioni diverse – o l’impatto dell’intelligenza artificiale sul modo di lavorare e di vivere. Oppure, quando aiutiamo le organizzazioni a “prendersi cura di chi si prende cura” – come genitori, caregiver, e di chi si occupa degli altri – perché il benessere al lavoro passa anche dalla capacità di rispondere ai bisogni che le persone vivono nella propria vita personale e familiare. E ancora, la sfida di attrarre giovani talenti e, allo stesso tempo, mantenere alta la motivazione dei lavoratori più esperti: le trasformazioni demografiche ci dicono che saranno sempre di più nei prossimi anni. Mindwork funziona perché evolve insieme al mondo del lavoro e ai bisogni delle persone, che sono, sempre più, anche le priorità delle aziende.

Da manager, come riesci a mantenere l’equilibrio tra la crescita dell’azienda, la gestione del team e la tua vita personale?

Penso che l’equilibrio non sia un traguardo, ma una ricerca continua. Quando attraverso periodi particolarmente intensi al lavoro e qualcuno mi dice “devi pensare anche a te stessa”, sorrido: anche il mio lavoro è una parte di me, una parte importante. Ma so anche quanto sia facile, quando un progetto ti appassiona, correre il rischio di trascurare le relazioni importanti. Uno degli errori che ho fatto in passato è stato proprio dare per scontate le persone a me vicine: le amicizie, la famiglia, le persone che ci vogliono bene non sono mai scontate. Oggi cerco di dedicare loro tempo e presenza. È anche un modo per prendermi cura di me stessa. 

Il tema del benessere mentale sul lavoro è oggi più che mai centrale: come lo vivi in prima persona e come lo traduci nella cultura aziendale di Mindwork?

Per me stare bene al lavoro significa sentirmi parte di un progetto in cui credo, dentro un contesto che dà spazio alle persone e valorizza la diversità di idee ed esperienze. Il benessere non è uguale per tutti, ma alcuni ingredienti sono comuni: relazioni di qualità, rispetto, crescita, equilibrio tra lavoro e vita privata. In Mindwork cerchiamo di mettere in pratica ogni giorno ciò che portiamo nelle aziende: attenzione, ascolto, equità, valorizzazione dei talenti. E ci ricordiamo sempre che il benessere non è qualcosa che si conquista una volta per tutte: è un percorso che continua, ogni giorno.

Fuori dal lavoro, come ti piace rigenerarti? Hai passioni o abitudini che ti aiutano a ritrovare energia e focus?

Anche se il mio lavoro mi porta spesso a stare con tante persone o forse proprio per questo uno dei modi in cui mi rigenero è stare da sola. Amo dormire: è una delle forme di benessere più sottovalutate che conosca. Adoro le passeggiate in montagna, d’estate e d’inverno. Poi ci sono le serate con le mie amiche, in cui ci raccontiamo e ridiamo fino a tardi. Mio fratello, i miei genitori a Ferrara, il mio compagno che vive a Londra, tra i motivi per cui io e la mia valigia siamo ormai inseparabili. Le cose semplici e le persone a cui voglio bene sono la mia fonte di energia più grande. 

Che consiglio daresti alle giovani donne che vogliono costruire una carriera nel mondo dell’innovazione e dell’imprenditorialità?

Più che dare consigli, condivido un’esperienza. Per me è stato importante non pensare al lavoro solo come a un ruolo, ma come a un progetto, un modo per contribuire a qualcosa in cui credo. E per farlo serve mantenere uno spazio “proprio”, anche fuori dal lavoro: nel mio caso, l’insegnamento in università, la divulgazione, gli eventi. Esperienze che mi permettono di continuare a confrontarmi e crescere anche al di fuori del perimetro aziendale. Da quando ho iniziato a lavorare, ho capito che la mia identità professionale non coincide con il ruolo che ricopro, ma con ciò che imparo e costruisco nel tempo. Naturalmente, serve anche un contesto che lo permetta: che veda questa libertà, pur con le sue regole, come un valore, non come un rischio. Alle giovani donne direi questo: scegliete ambienti e persone che vedano nelle vostre inclinazioni e nei vostri desideri una risorsa da valorizzare, non un problema da gestire.