Fino al 30 settembre presso la Mole Vanvitelliana oltre 200 scatti del fotografo tra i più significativi della scena contemporanea italiana
© giorgio cutini
Un percorso di introspezione artistica, ma anche un viaggio attraverso le età dell'uomo in oltre 200 scatti. La mostra antologica "Canto delle stagioni" dedicata a Giorgio Cutini si snoda nelle sale della Mole Vanvitelliana di Ancona seguendo una suddivisione tematica, focalizzata sulle serie e su quelle immagini che hanno costruito la cifra stilistica più caratteristica del fotografo, tra i più significativi della scena contemporanea italiana. https://www.donnamoderna.com/?p=1058729, tra opere più note e altre inedite.
Giorgio Cutini da sempre evita i luoghi comuni, preferendo piuttosto mettere in discussione i presupposti visivi dell’istantaneo contemporaneo. La sua è una profonda e continua fuga dall’ordinario nella quale non trovano spazio solo ritratti di cose, oggetti o realismi effimeri. Le sue foto documentano piuttosto quello che il paesaggio muove nell’animo, in scatti sempre espressivisti e visionari, in cui il suo occhio intellettuale si interessa e si incuriosisce di ciò che lo circonda. "Giorgio Cutini ha fissato le intensità del grigio, del nero, ma anche gli intervalli armonici, il pensiero senza parole, l’ombra del vento, tenendo sempre la physis come spazio privilegiato per l’osservazione della realtà, oltre che del suo paesaggio agreste" ha spiegato il curatore della mostra, Gabriele Perretta. "Giorgio Cutini 'tratta' il suo lavoro come un manifesto, esponendo le sue convinzioni in maniera diretta, vera e colta, rivoluzionando così il ruolo della fotografia e di quella che oggi, in maniera negativa, è precipitata nel contraddittorio post-fotografico" ha aggiunto.
© giorgio cutini
Tra le serie presenti in mostra c’è Inquietudine, racconto di come l’eccedenza della natura e delle cose soggioghi l’artista e si sottragga costantemente al suo tentativo di controllo. Eccitazione, meraviglia e disagio convivono e viene messa in dubbio la sicurezza della tecnica e della duplicazione del reale: è così che nascono le condizioni per la scoperta di nuove possibilità espressive. Con la serie Silenzio il fotografo tende con sempre maggiore decisione al bianco e al nero assoluti. L’immagine del padre perduto in tenerissima età diventa occasione di riflessione sull’irriducibile assenza di cui vive la fotografia. Il silenzio è vertigine, indagato dall’artista negli spazi sovrumani di un Appennino che diventa metafora di uno stato dell’anima, disposta a misurarsi con un silenzio potenzialmente definitivo. Nella serie Egl’io è protagonista la natura tanto quanto l’artista. Cutini interpella l’archetipo dell’albero in dialogo con se stesso, portando all’estremo il bisogno di identificazione con il paesaggio naturale e con la ricerca di una riflessione interiore. Requie(m) è il lavoro più recente del fotografo, spazio di quiete e di essenziale spiritualità che costruisce un’immagine di una minima riconoscibilità che contiene insieme un concetto di finito e infinito, di armonia dei paesaggi interiori approfonditi da dettagli simbolici e naturalistici. Gli scatti mantengono una tensione tra definitivo annientamento della rappresentazione e rivelazione di figure al di là dell’inganno consueto del reale. In nero come colore dominante dice allo spettatore che c’è ancora la speranza di un’immagine possibile.