Fine dining

“Riflessi nella materia”: il nuovo menu del ristorante Adagio

Lo Chef Mario Maniscalco ribalta le regole con un percorso di sette portate e un insolito bread pairing

31 Lug 2025 - 07:00
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© Ufficio stampa  |  Ristorante Adagio: il menù Riflessi nella Materia
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Siamo a Calamandrana, tra Canelli e Nizza Monferrato, in uno dei territori più suggestivi del Piemonte, dove le colline vitate e i noccioleti disegnano paesaggi riconosciuti Patrimonio UNESCO. È qui che sorge Adagio, il fine dining da 30 coperti ospitato in un elegante fienile settecentesco restaurato, parte del Relais Almaranto.

Adagio è un progetto costruito sulla lentezza consapevole, su una cucina che prende il tempo necessario per pensare, creare, servire. Alla guida c’è l’Head Chef Mario Maniscalco, classe 1993, originario di Ribera, in Sicilia e piemontese d’adozione. Un cuoco giovane, con esperienze a Torino, Asti, Londra (tra cui due anni come Sous Chef all’Harry’s Dolce Vita a Knightsbridge), che nel 2022 ha assunto la guida di Adagio con l’ambizione di unire rigore tecnico, radici personali e una forte vocazione territoriale.

Il suo nuovo menu degustazione si chiama “Riflessi nella Materia” ed è una dichiarazione d’intenti: un percorso in 7 portate che non segue l’ordine canonico (dall’antipasto al dessert), ma ruota attorno alla materia prima, ai ricordi, al tempo, al gesto. Ogni piatto è accompagnato da un pane pensato ad hoc: un bread pairing inedito, che racconta le origini familiari dello chef, cresciuto con una madre panettiera e con le mani nella farina. Lo Chef e la brigata hanno creato cinque diversi tipi di pane, utilizzando antichi ingredienti con un twist moderno, composti da diverse farine, diversi processi, lieviti vivi e un lievito madre di circa 100 anni.

Un percorso gastronomico fuori dagli schemi
Non è un menu, è un racconto gastronomico in cui Sicilia e Piemonte dialogano senza forzature. Il percorso inizia con una serie di amuse-bouche che dichiarano sin da subito l’asse tematico: radici, contaminazione, materia. Tra questi, una Panella di farina di ceci fritta alle erbe (classico street food siciliano) viene proposta in versione piemontese, con una crema di Castelmagno. Un piccolo boccone, ma già perfettamente calibrato tra Sud e Nord.

Poi si entra nel vivo, e lo si fa “dalla fine”, perché la prima portata è una Macedonia fermentata di frutta e verdura di stagione, accompagnata da centrifugato di sedano. Un piatto apparentemente dolce, che in realtà prepara il palato all’esperienza, in equilibrio tra acidità, freschezza e vegetale. La seconda portata è una Cipolla borettana in diverse consistenze, cotta in vasocottura con una demi-glace al mirto, servita con un velo di salame cotto, polvere di cipolla bruciata e amaretto allo zafferano. Il pane in abbinamento è aromatizzato al vino rosso, camomilla e aceto balsamico 30 anni, che accompagna ed esalta ogni sfumatura aromatica.

La terza portata è dedicata al Quinto quarto, rivisitazione creativa di tre pilastri piemontesi: fritto misto, finanziera e bollito misto. Il piatto propone creste di gallo, animelle, rognone e guancia, serviti con bagnetto verde e rosso. Una proposta che valorizza tagli spesso dimenticati, senza mai perdere eleganza o equilibrio.

Il piatto centrale del menu è probabilmente il più rappresentativo della filosofia di Maniscalco. Protagonista: l’Asparago. In un dialogo tra territorio e stagionalità, il piatto unisce asparagi selvatici fermentati raccolti in zona a asparagi crudi di Santena, con uovo morbido al pesto all’aglio orsino e una vinaigrette al miele che dona al piatto una piacevole dolcezza finale. In accompagnamento, un panettoncino al guanciale con una glassa all’uovo.

A seguire, la Pasta di pane, simbolo della filosofia zero waste dello chef: un piatto identitario e sostenibile. Il pane avanzato viene essiccato, macinato e trasformato a mano in busiate siciliane, servite con olio extravergine siciliano e zest di cedro grattugiato al tavolo, direttamente sul piatto. Nessun eccesso, solo essenza. Il pane diventa nuova vita, la Sicilia diventa concetto.

Come si è iniziato con la frutta, si chiude inaspettatamente con i legumi: il dessert è una Millefoglie d’ortica con all’interno mousse di ceci dolci, caramello di fagioli e fagioli sabbiati. A riportare freschezza, un limone candito cotto due ore in uno sciroppo che alleggerisce la bocca e rinfresca il pensiero. Il pasto si chiude con una selezione di piccola pasticceria e una tazza di tè freddo al limone homemade.

Vini, alternative analcoliche e piccole eccellenze
Tre i percorsi d’abbinamento disponibili: “Vino”, con un’attenta selezione di etichette locali e internazionali, spesso da piccoli produttori o vigne rare; “Light”, che gioca con infusioni e bevande leggere non alcoliche; “Zero”, totalmente analcolico ma sofisticato, pensato per chi vuole un pairing originale senza vino. In aggiunta, una selezione di vini locali e internazionali, con particolare attenzione ai piccoli produttori e alle eccellenze rare.

Adagio, tra lentezza e identità
Adagio è, in tutto e per tutto, la proiezione della personalità del suo Chef: un luogo dove la materia è rispettata, la memoria è attualizzata e la lentezza è un valore. La cucina si basa su ingredienti locali, molti dei quali Presidi Slow Food, come la carne di Fassona o il Riso Gigante di Vercelli, e sulla volontà di riportare alla luce ingredienti dimenticati. Tutta la pasta e la pasticceria sono fresche, prodotte in casa, con farine di un mulino distante meno di 500 metri.

Per Maniscalco, la cucina non è esercizio di stile, ma narrazione fatta piatto. Un racconto che parte da un’infanzia siciliana, passa per esperienze internazionali, e trova oggi un’identità precisa tra i paesaggi del Monferrato. Il suo obiettivo, lo dice lui stesso, è creare esperienze di gusto e pensiero, dove ogni ingrediente ha un ruolo, ogni sapore un senso, ogni pane una storia. E questo menu ne è l’esempio più riuscito.

Di: Indiora Fassioni

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