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In cucina e nella vita la ricetta di Ernst Knam: "Io riesco"

E' conosciuto come il "Re del Cioccolato". Ha alle spalle anni e anni di gavetta ed esperienza. Non lascia praticamente mai il laboratorio in via Anfossi 10 a Milano, la sua seconda casa, dove ogni giorno crescono idee e talenti. Stiamo parlando dello Chef Ernst Knam, classe 1963, tedesco di nascita e milanese d'adozione, un vortice di vita che Cotto e Mangiato ha avuto il piacere di ospitare in cucina. 

 

Chef, si parla tanto di tradizione e innovazione. Come vede questo rapporto?

La tradizione è il fondamento di tutto. Posso rivisitare, ma è necessario conoscere le basi della pasticceria, che si apprendono con un percorso di formazione. In cucina bisogna sicuramente avere passione, creatività e sensibilità, ma in primis è essenziale un solido apprendistato per capire quanto impegno e dedizione richiede. 

 

La sua è stata una lunga formazione.

ll mio percorso è iniziato in Germania. Qui, a differenza dell'Italia, si ha la fortuna di avere un vero apprendistato dove chi vuole imparare un mestiere cerca un attività e si iscrive. Il periodo di formazione prevede un esame intermedio dopo 12-18 mesi e si conclude con un esame finale che ti consente di ottenere un certificazione di natura professionale. La formazione è il cuore pulsante del paese e porta avanti il mestiere. Spesso quando faccio i colloqui i giovani mi dicono: non troviamo lavoro perché cercano persone con esperienza. Ma bisogna dargli l'opportunità di farla questa esperienza. In pasticceria prendiamo stagisti dalle scuole e li monitoriamo. Quelli che hanno "fame" di sapere, li assumiamo per un tirocinio. Faccio fare tutto a loro, piuttosto pulisco io le stoviglie, ma loro devono imparare. Se uno deve fare il maestro, deve insegnare.

 

Quanto sono stati importanti i suoi maestri?

I maestri sono indispensabili, ma il primo maestro è quello che ti dà l'input. Dopo l'apprendistato, il mio mi disse che se avessi voluto diventare qualcuno sarei dovuto andare all'estero. E così ho iniziato a girare il mondo fino ad arrivare in Italia. Inizialmente ero orientato su Venezia, ho fatto due tentativi ma non mi hanno preso. Poi è arrivato il sì di Gualtiero Marchesi e da lì è iniziata una nuova avventura fino all'apertura della mia pasticceria. Mi dicevano: non arriverai neppure a Natale! E invece ho mangiato anche l'uovo di Pasqua. E sono già passati 30 anni.   

 

Nella sua pasticceria, cosa insegna ai giovani tirocinanti?

Innanzitutto che il mondo della ristorazione - che include anche quello della pasticceria - è un reparto a sé e non c'entra con gli altri lavori perché lavoriamo sempre, anche e soprattutto nei giorni di festa. E' un lavoro molto stressante. Ai ragazzi spesso dico: tra 8 anni il 95% di voi non farà il pasticcere perché è un lavoro duro, si lavora in piedi. A chi lo vuole fare, consiglio di andare all'estero e allargare gli orizzonti. Chi si confronta con altre culture, impara a guardare il mondo con occhi diversi. 

E sulla tecnica? A Cotto e Mangiato ci ha insegnato a riutilizzare i baccelli di vaniglia. Nelle sue ricette c'è grande attenzione alle materie prime. 

Lavorare con Gualtiero Marchesi mi ha aiutato molto. Per me la cucina in sé è fatta di materie prime. Senza di queste la tecnica non serve. Io provo a insegnare questo ai miei ragazzi: come vanno trattate le spezie, cosa succede nella montatura. Tanti vogliono saltare subito questi passaggi, ma non si può volere tutto e subito. La ricetta funziona solo se conosco molto bene gli ingredienti, se li so lavorare e mettere insieme. Per fare questo occorre sporcarsi nel vero senso della parola le mani. Il mio è il laboratorio meno tecnologico di tutti, perché voglio che si tocchi con mano, che si prediliga la sensibilità. Io immagino già che gusto hanno tre ingredienti mescolati, non devo fare troppi esperimenti. Perché con il tempo si diventa artigiani, è questa la differenza. Sì è vero, mi chiamano chef, la televisione aiuta tanto a farsi conoscere, ma qualcuno ha dimenticato che spadelliamo verdura e sbattiamo uova. Sono pasticcere ma prima di tutto artigiano.

 

Ernst Knam è anche il "Re del cioccolato". Da dove arriva questo soprannome? 

Proprio dalla televisione, da un programma che ho rifiutato dodici volte. Fino a quando poi un giorno, su suggerimento di un collaboratore e amico, ho accettato. Inizialmente dicevo no perché non volevo lasciare il mio laboratorio, non potevo allontanarmi. Poi abbiamo trovato un compromesso: girare in laboratorio. Non ero molto d'accordo sul titolo, perché non volevo autoincoronarmi "re del cioccolato". E' da allora che mi chiamano così. Sono un pasticcere con una grande passione per il cioccolato, faccio quasi l'80% della mia produzione a base di cioccolato a cui unisco anche spezie e frutta. Mi piace molto fare i cioccolatini, perché in 10 grammi faccio tanti strati da 0,8 grammi e alla fine crei un piccolo gioiello. A oggi ne produciamo 66 tipi diversi. Tra questi c'è anche quello al gusto moscow mule, che ho inventato insieme al mio amico Emis Killa.    

 

Ma avrà anche lei una ricetta preferita. 

La foresta nera. Una torta altissima di 12 cm che mi preparava sempre la mia tata. La sua ricetta è pazzesca, già al primo assaggio entri praticamente in un'altra dimensione. Ma io non sono mai riuscito a farla buona come la sua. 

 

Anche mio nonno era pasticcere, ma io non sono mai stata brava a fare i dolci. 

No, non è una questione di bravura. In cucina e in pasticceria, così come nella vita, non ci vuole ansia. Bisogna affrontare le cose senza paura, bisogna essere pieni di sé al punto tale da poter dire con fermezza: io riesco.

 

 

 

 

 

 

 

 

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