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Mamma dopo il tumore: ormai non è più impossibile

Il punto sulle tecniche che permettono di ripristinare la fertilità al termine delle cure oncologiche

Mamma dopo il tumore: ormai non è più impossibile - foto 1
istockphoto

La gioia di diventare mamma dopo aver combattuto contro un tumore non è un sogno irrealizzabile: da tempo si parla di tecniche di conservazione degli ovociti o di ripristino della fertilità al termine delle terapie oncologiche.

In occasione della Giornata Mondiale contro il Cancro ricordiamo alcune opportunità offerte dalla medicina riproduttiva alle pazienti oncologiche, con la consapevolezza che ormai molto di può fare per non rinunciare alla grande esperienza della maternità.

Secondo i dati AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori), in Italia nel 2018 il numero stimato dei nuovi casi di tumore maligno ha raggiunto quota 373.000 (escludendo i tumori cutanei non melanoma): 194.000 negli uomini, 178.000 nelle donne. Questo significa che complessivamente nel nostro Paese ogni giorno a circa 1.000 persone viene diagnosticato un tumore maligno. In particolare, sono circa 5.000 le donne under 40 colpite ogni anno da tumore, con un tasso di sopravvivenza a cinque anni stimato intorno al 65% con picchi che arrivano all'85% quando si tratta di linfomi e cancro alla mammella. Quest'ultimo rappresenta la neoplasia più frequente nel sesso femminile. Il problema di non privare della fertilità un numero così elevato di donne giovani è dunque di grande rilevanza.

Spiega Daniela Galliano, Direttrice del Centro IVI (Instituto Valenciano de Infertilidad) di Roma: “Poiché il tempo per preservare la fertilità prima dell'inizio della terapia oncologica è limitato , risulta essenziale che la paziente sia informata il prima possibile sulle opportunità disponibili attraverso le tecniche di procreazione medicalmente assistita”.

Come spiega la scienziata, la tecnica più diffusa oggi è la vitrificazione degli ovociti, grazie alla quale è possibile crioconservare gli ovuli maturi ottenuti dalla stimolazione ovarica. Al termine delle terapie oncologiche, quando la donna sarà guarita, gli ovuli congelati possono essere utilizzati con risultati analoghi all'impiego di ovociti freschi. Nei casi in cui la procedura standard di iperstimolazione ovarica non può essere effettuata, ad esempio se la paziente è affetta da una neoplasia ematologica, lo specialista in medicina riproduttiva può proporre la conservazione del tessuto ovarico, oppure l'aspirazione ovarica e la maturazione in vitro (IVM) degli ovociti che non richiede stimolazione ormonale; queste tecniche sono state appena presentate in uno studio pubblicato sulla rivista scientifica “Fertility and Sterility”.

IVI è al fianco delle pazienti oncologiche già dal 2007, con l'offerta del programma gratuito di preservazione della fertilità “Madre dopo il cancro”, grazie al quale più di 1.200 donne colpite da una neoplasia hanno potuto preservare la propria fertilità presso le cliniche IVI, senza dover sostenere alcun costo e senza nessun obbligo di utilizzo.

Con la vitrificazione degli ovociti non avviene alcuna formazione di cristalli di ghiaccio: in questo modo i tassi di sopravvivenza degli ovociti dopo lo scongelamento sono elevati e permettono quindi di posticipare la maternità con ragionevoli garanzie.

La crioconservazione del tessuto ovarico consente di ripristinare la funzione ovarica e di ottenere parti spontanei, riportando, inoltre, i livelli ormonali a valori normali ed evitando gli effetti secondari tipici della menopausa precoce. Si tratta di una tecnica in via sperimentale rivolta alle pazienti per le quali non è possibile effettuare la vitrificazione degli ovociti, perché devono iniziare subito le chemioterapie o perché la stimolazione ormonale è controindicata a causa della tipologia della neoplasia.