un dibattito in corso

Giulia De Lellis e la scelta di non mostrare sua figlia: un atto di amore necessario, ecco perché

L'influencer ha dichiarato di voler proteggere la sua bimba Priscilla non condividendo le sue immagini sui social. Una posizione che trova il consenso di molti esperti perché l’iper-esposizione precoce può avere conseguenze nel tempo

28 Dic 2025 - 08:41
 © Instagram

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In un’epoca in cui la condivisione di immagini e momenti personali è diventata routine quotidiana, la decisione di alcune celebrità di proteggere pubblicamente la privacy dei propri figli risuona come un segnale forte. È il caso di Giulia De Lellis, tra le influencer italiane più seguite, che ha scelto di non mostrare il volto della figlia Priscilla sui propri profili social. "Le cose belle le proteggo. Ho imparato a fare questa cosa e mi fa sentire meglio", ha dichiarato la stessa influencer su Instagram. Una posizione che trova il consenso di molti esperti perché l’iper-esposizione precoce può avere conseguenze nel tempo. 

Il fenomeno dell’esposizione dei figli sui social -  Il caso di De Lellis si inserisce in un dibattito più vasto: sempre più genitori, influencer o meno, condividono foto, video e momenti dei propri figli su piattaforme come Instagram, TikTok o Facebook. Per alcuni, queste immagini rappresentano un diario digitale della crescita e un modo per celebrare momenti importanti; per altri, espongono i bambini a rischi di privacy, sfruttamento mediatico e giudizio pubblico sin dai primi anni di vita. Ma sempre più organismi che si occupano di protezione dell’infanzia sostengono che i bambini non possono dare il consenso informato alla pubblicazione di immagini e informazioni su di loro, e che un eccesso di condivisione può avere ripercussioni psicologiche e sociali nel futuro.

Giulia De Lellis e Tony Effe, il primo mese di Priscilla

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Una tendenza in evoluzione -  Nonostante questa consapevolezza crescente, non esiste ancora una normativa digitale universale che regoli in modo stringente l’esposizione dei figli sui social da parte dei genitori. In paesi diversi, la legislazione oscilla tra linee guida generali e requisiti specifici di protezione dei dati, ma resta il fatto che la responsabilità primaria ricade sulle scelte familiari. La decisione di De Lellis amplifica una riflessione collettiva più ampia: non è solo una preferenza personale, ma un possibile punto di svolta nel modo in cui genitori e influencer riflettono sul ruolo dei social media nella vita dei bambini. Che si tratti di protezione, di educazione digitale o di rispetto della privacy, la discussione è destinata a intensificarsi man mano che nuove generazioni crescono “connesse” fin dalla nascita.

Il parere degli esperti e la responsabilità dei genitori - Il desiderio di protezione, secondo molti psicologi, è necessario per tutelare i propri figli. Secondo la psicologa dell’età evolutiva Laura Bianchi, infatti, l’iper-esposizione precoce può avere conseguenze nel tempo: "Il bambino cresce senza aver scelto la propria identità digitale. Le immagini pubblicate oggi possono riemergere domani, quando sarà adolescente o adulto, con effetti sul senso di sé e sull’autostima". Da non sottovalutare anche il nodo del consenso perché i bambini non sono in grado di prestare un consenso informato. Anche se i genitori agiscono in buona fede, la diffusione di immagini può entrare in conflitto con il diritto alla riservatezza e all’identità personale del minore. In diversi paesi europei si discute già di limiti più stringenti allo “sharenting”, il fenomeno per cui i genitori condividono online la vita dei figli. In Francia, ad esempio, i genitori possono essere ritenuti responsabili se la pubblicazione di contenuti danneggia il minore.

Uso consapevole dei social -  Il caso De Lellis assume un peso ancora maggiore considerando il contesto degli influencer, dove la vita privata spesso si intreccia con il lavoro. Molti bambini diventano, di fatto, parte integrante di una narrazione pubblica e commerciale. Per Anna Rossi, pedagogista ed esperta di educazione digitale, la questione è culturale: "Non si tratta di demonizzare i social, ma di educare a un uso consapevole. Mostrare tutto non è sinonimo di autenticità. Proteggere un figlio può essere un atto di responsabilità e di amore".