A MILANO

Zona K riflette sul presente con il nuovo festival Life tra realtà e finzione

Articolato in due parti dal 7 al 19 maggio e dal 4 al 21 giugno

30 Apr 2025 - 13:10
 © Sito ufficiale

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Life è il nuovo festival di Zona K. E propone un teatro che osserva e interpreta il presente, attinge da dati reali e li restituisce sulla scena, unendo performance, arte visiva, cinema, giornalismo, scienza e ricerca. Il rapporto con la realtà diventa oggetto e strumento di un’indagine che rimescola le narrazioni e i linguaggi, e apre connessioni con la sociologia, l’urbanistica, la statistica, la storia, l’economia e la tecnologia. Il festival, il cui fil rouge sarà il rapporto tra realtà e finzione e tra verità e menzogna, si svolgerà tra maggio e giugno e sarà articolato in due parti: la prima, in collaborazione e coproduzione con la Fabbrica del Vapore, si terrà dal 7 al 19 maggio; la seconda, dal 4 al 21 giugno, tra Zona K, Teatro Out Off, Teatro Fontana e altri spazi cittadini non convenzionali.

Zona K, le immagini del nuovo festival Life

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© Jordi Soler
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Come la rivista, Life vuole stimolare una riflessione sul presente attraverso una messa in scena che si muove sull’ambiguo confine tra realtà e finzione. E si pone nell’intreccio tra teatro, arti e media, dove per media s’intende il mondo dell’informazione, del giornalismo, della ricerca lontana dal mainstream. È l’allargamento dello sguardo che chiede di andare oltre il bombardamento di informazioni, immagini ed eventi destinati a restare in superficie. Una modalità che si avvicina e si intreccia con l’inchiesta, che non vuole informare, ma stimolare, riflettere, e dare al pubblico una responsabilità di interpretare quello che vede.

In cartellone artisti italiani e internazionali già presentati nella passata programmazione di Zona K e altri che l'associazione culturale incrocia per la prima volta. La performance "Who’s Afraid of Representation?" di Rabih Mroué e Lina Majdalanie è dedicata al rapporto tra rappresentazione artistica e realtà e mette a confronto la rappresentazione della violenza nelle performance estreme della body art con la brutale situazione nei reali contesti di crisi e conflitto, così come nella conferenza non accademica "Sand in the Eyes" Mroué indaga la manipolazione della percezione della violenza tanto nei video di propaganda dell’Isis quanto nelle comunicazioni ufficiali.

Torna Agrupación Señor Serrano con "The Mountain" (già presentato nel 2021 con tutte le difficoltà del momento) che esplora il concetto di verità nell’era dell’informazione frammentata. Attraverso una combinazione di elementi scenici e narrativi, lo spettacolo mescola riferimenti storici e contemporanei, creando connessioni inaspettate e invitando il pubblico a riflettere sulla natura della realtà e sulla sua rappresentazione. Boris Nikitin sempre in bilico tra teatro di finzione e performance, tra documentario e propaganda, in "Magda Toffler or an Essay on Silence" utilizza la storia della propria famiglia per portare alla luce un pezzo nascosto della storia europea. In questa performance l’artista scava nelle memorie dimenticate del XX secolo ed evoca il silenzio dei secoli, intersecando storia personale e collettiva, riflessione ed emozione. "Centroamérica" dei Lagartijas Tiradas al Sol è uno sguardo su una realtà vicina e paradossalmente sconosciuta quale l’America Centrale. Trait d’union tra due linee: quella di cui sopra, dove esercitano un’azione politica mescolando realtà e finzione e quella seguente che parla di confini e spostamenti di popolazione. È dall’incontro con una donna costretta a lasciare il Nicaragua che i Lagartijas si concentrano sulle migliaia di persone sradicate dalla propria terra.

Lo sguardo su migrazioni, esili, confini emerge da "Odissea minore" di Nicola Di Chio, Mariam Selima Fieno e Christian Elia, un progetto che fonde teatro, giornalismo e cinema per raccontare la violenza dei confini e il futuro di una generazione in cammino lungo la rotta balcanica. Anche l’esperienza collettiva di Ant Hampton con "Borderline Visible" diventa un viaggio partecipato attraverso le pagine di un libro che intreccia fotografie e audio: storia, autobiografia, letteratura e un’indagine urgente sulle atrocità nascoste perpetuate ai margini dell’Europa. La performance per uno spettatore alla volta di Basel Zaraa condivide l’esperienza (in questo caso palestinese) di sfollamento e resistenza attraverso la storia di una famiglia, esplorando come la guerra e l’esilio vengono vissuti attraverso la quotidianità, lo spazio domestico e pubblico.

Esplicito riferimento al tema della migrazione è "La Zona Blu" dei Kepler-452. Una lettura di appunti, scritti durante i giorni a bordo della Sea-Watch 5 nel luglio 2024, accompagnata da immagini documentarie originali, che parla di cosa succede quando ci si incontra ai confini dell’Europa con persone molto diverse, dello smarrimento che ci coglie quando guardiamo il nostro continente dai suoi confini. Con “foresti” e stranieri, ispirandosi al testo di Koltès, si confronta anche Babilonia Teatri in "Foresto". Una commistione di linguaggi per esplorare il tema della complessità della diversità: una voce parlata, una segnata, la voce della musica live e la parola scritta. Un gioco di specchi in cui lingue e culture diverse si intrecciano e dialogano tra loro. Il Mediterraneo e le rotte dei migranti sono al centro del lavoro di ricerca di Liminal "Asymmetric Visions", installazione multimediale che traccia l’azione di Frontex sul monitoraggio delle frontiere marittime attraverso l’analisi dei dati e delle immagini disponibili, facendo emergere un quadro lontano dalla narrazione politica. Il lavoro di Liminal si inserisce anche in una terza linea che è quella dello sguardo documentario, giornalistico, d’inchiesta nella quale rientra la conferenza spettacolo "Schwarz Rot Braun" (nero rosso marrone) del giornalista tedesco Jean Peters dell’agenzia giornalistica tedesca Correctiv sugli stretti legami tra politici dell’AfD, neonazisti e imprenditori emersi alla fine del 2023. In questa linea ovviamente rientra la collaborazione con il DIG Festival: tre i documentari presentati, rispettivamente sui legami in Siria tra il narcotraffico e la famiglia Assad, sul crollo economico-finanziario del Libano e sulle conseguenze dell’inquinamento atmosferico dell’estrazione del petrolio in Iraq.

"Reas" di Lola Arias per quanto sia un film rientra a maggior diritto nella linea realtà-finzione. Attraverso lo strumento del re-enactment la Arias reinterpreta il genere musicale e il documentario in modo audace e innovativo. Dal ruolo cruciale del giornalismo investigativo nella società democratica portato avanti sia da "Correctiv" che dal DIG festival, il tema della democrazia si ritrova in due spettacoli: "Fight Night" uno dei lavori più popolari nel repertorio di Ontroerend Goed ripreso e ripensato per il presente e per un nuovo tour mondiale. Una lucida analisi di come funziona la democrazia, messa in scena come un gioco con cinque contendenti, dove apparentemente è il voto dello spettatore a decidere chi vince. Di democrazia e di processi di pace, in modo satirico e graffiante, si occupa anche "Negotiating Peace" di Jeton Neziraj. Dall’Irlanda del Nord al Medio Oriente, dagli accordi di Dayton a quelli di Oslo, dalle trattative ancora irrisolte tra Kosovo e Serbia fino alle imprevedibili conclusioni del conflitto russo-ucraino: cosa succede dietro le quinte di un negoziato? È possibile negoziare la pace?

Dalla democrazia all’economia, dal teatro al giornalismo, dal cinema alla performance, si arriva all’installazione "Everything must go" di Dries Verhoeven che esplora le contraddizioni morali del capitalismo: un’installazione riproduce meticolosamente la corsia di un supermercato, dove il furto è visto sia come crimine che come forma di resistenza, incarnando la tensione tra apparenza e realtà etica. E a "The Parcel Project" di Johannes Bellinkx, progetto artistico ed esperimento giornalistico. All’interno di un pacco postale si trova uno strumento digitale discreto, progettato per catturare dati audiovisivi dall'ambiente circostante. Gli spettatori, improvvisamente diventati pacco, sono teletrasportati in spazi normalmente inaccessibili all'uomo, attraversando l’intricata rete della nostra società consumistica.

Infine uno sguardo sull’Intelligenza Artificiale, lasciata in finale per il suo pervadere ormai ogni aspetto del nostro presente. Il coreografo Arkadi Zaides con "The Cloud" ci porta in un’indagine sulla nube tossica che il reattore di Chernobyl ha sparso nell’aria, e sui dati fluttuanti nella nuvola che alimenta l’intelligenza artificiale. Qual è la singolarità del corpo umano in questo improbabile ma inevitabile punto di convergenza tra le due nuvole? Mentre Ruggero Franceschini con "Pentothal" mette in gioco e in dialogo l’intelligenza artificiale con la controcultura degli anni Settanta, proponendo contenuti onirici e visionari, eppure incredibilmente attuali, a cui il pubblico è chiamato a contribuire, esplorando luci e ombre della controinformazione.

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