Volto del cinema d'autore

Dal Frankenstein di Warhol ai mondi di Dario Argento e von Trier: addio a Udo Kier

L’attore tedesco, scomparso a 81 anni, ha attraversato mezzo secolo di cinema incarnando una visione radicale e libera dell'arte

24 Nov 2025 - 11:48
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È morto all'età di 81 anni l'attore tedesco Udo Kier, figura iconica del cinema d'autore europeo e al contempo interprete di cult di genere. Con oltre duecento film alle spalle, dal cinema di culto prodotto da Andy Warhol negli anni 70 e poi con Lars von Trier, passando per Dario Argento e alcuni successi hollywoodiani, l'attore tedesco lascia un'eredità fatta di libertà artistica e curiosità. Un attore che ha attraversato il cinema come un viaggiatore instancabile, portando con sé un'idea di arte come esplorazione e di bellezza come inquietudine. .

Udo Kier, attore di culto amato dai grandi registi

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Udo Kier non era un attore qualunque. Era un volto che non si dimentica, capace di trasformare ogni sguardo in inquietudine e ogni silenzio in racconto. Nato a Colonia il 14 ottobre 1944, la sua vita iniziò nel dramma: l'ospedale in cui venne alla luce fu bombardato e lui e sua madre furono estratti dalle macerie. Forse da lì nacque quella sua aura sospesa tra la vita e la morte, che avrebbe segnato tutta la sua carriera.

Le origini e l'incontro con il cinema

 Da giovane si trasferì a Londra per studiare inglese e cominciò quasi per caso a recitare. Gli anni Sessanta e Settanta furono il suo laboratorio creativo: un cinema libero, trasgressivo, dove il suo volto androgino e magnetico trovò spazio naturale. Il suo primo grande riconoscimento arrivò grazie a due film prodotti da Andy Warhol e diretti da Paul Morrissey: "Il mostro è in tavola... barone Frankenstein"(1973) e "Dracula cearca sangue di vergine... e morì di sete!!!" (1974). Pellicole volutamente eccessive, visionarie, in cui Kier diede corpo a un barone e a un vampiro decadente, simboli di un'Europa inquieta e sedotta dall'eccesso. In quegli anni diventò un'icona del cinema underground e d'autore, amato da registi e artisti per la sua capacità di rendere credibili anche i personaggi più estremi.

I film di culto prodotti da Andy Warhol

 In "Il mostro è in tavola... barone Frankenstein", Kier interpretava un dottore ossessionato dalla creazione della vita, in un film che mescolava horror, erotismo e ironia nera. L'anno successivo, in "Dracula cearca sangue di vergine... e morì di sete!!!", il suo conte assetato di sangue vergine divenne un simbolo di decadenza e malinconia. Entrambi i film, girati in Italia, fecero scandalo e conquistarono lo status di cult. Kier, con la sua recitazione intensa e surreale, divenne un volto riconoscibile nel panorama internazionale.

Il rapporto con Dario Argento

 Tra le collaborazioni italiane più significative di Udo Kier c'è anche quella con Dario Argento, maestro dell'horror e del thriller. Kier partecipò a "Suspiria" (1977), interpretando il dottor Frank Mandel, e tornò a lavorare con il regista romano in "La sindrome di Stendhal" (1996) e ne "La terza madre" (2007), ultimo capitolo della trilogia delle Tre Madri. In questi film seppe fondere rigore e mistero, diventando un elemento essenziale dell'atmosfera onirica e inquietante tipica del regista romano. La sua presenza, elegante e ambigua, contribuì a definire l'estetica del cinema argentiano, dove la paura convive con la fascinazione visiva.

L'intesa artistica con Lars von Trier

 Negli anni Novanta la sua carriera trovò una nuova linfa con il regista danese Lars von Trier, che lo scelse per "Europa" (1991), "Le onde del destino" (1996), "Dogville" (2003) e "Melancholia" (2011). In ognuno di questi film, Kier seppe incarnare personaggi ai margini, enigmatici, spesso specchio delle contraddizioni umane. Con von Trier nacque un sodalizio profondo: il regista trovò in lui un interprete perfetto per i suoi mondi sospesi tra realtà e visione, dolore e ironia.

Un attore tra horror e poesia

 Oltre a Warhol, von Trier e Argento, Kier collaborò con registi come Rainer Werner Fassbinder, Gus Van Sant e Werner Herzog. Apparve anche in produzioni hollywoodiane come "Blade", "Johnny Mnemonic" e "Ace Ventura - L'acchiappanimali", senza mai perdere il gusto per la sperimentazione. In ogni ruolo, piccolo o grande, portava con sé la sua presenza inconfondibile: quella di un attore libero, capace di passare dall'horror alla poesia, dal dramma al surreale con naturalezza assoluta.

L'eredità di un volto unico

 Nel 2019 ricevette il premio come miglior attore al Festival di Karlovy Vary per Swan Song, film che raccontava la storia di un parrucchiere gay costretto a confrontarsi con il passato. Un ruolo che sembrava cucito su di lui: ironico, malinconico, vitale. Era l'ennesima dimostrazione della sua capacità di reinventarsi, di non appartenere mai del tutto a un genere o a un tempo.