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I Hate My Village, l'Occidente incontra il tribalismo africano: ecco la nuova superband italiana

Eʼ uscito il primo disco della band formata da Fabio Rondanini (Calibro 35, Afterhours) e Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion e molti altri) con la partecipazione di Alberto Ferrari (Verdena) e Marco Fasolo (Jennifer Gentle)

I Hate My Village, l'Occidente incontra il tribalismo africano: ecco la nuova superband italiana - foto 1
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I Hate My Village è il nuovo progetto nato dalle menti di Fabio Rondanini (batterista di Calibro 35 e Afterhours) e Adriano Viterbini (chitarrista di Bud Spencer Blues Explosion).

Voglia di contaminarsi ampliando il proprio orizzonte e amore per la musica africana sono i motivi alla base di questa nuova superband italiana, che tra le proprie fila schiera anche Alberto Ferrari dei Verdena alla voce e Marco Fasolo dei Jennifer Gentle in cabina di regia (e al basso). Il loro esordio discografico è un mix unico tra il rock nervoso di matrice occidentale e l'afro blues del deserto caro ad artisti come Bombino e Rokia Traoré. Mentre è partito il loro tour in giro per l'Italia, Tgcom24 si è fatto raccontare da Adriano Viterbini la genesi e le caratteristiche del progetto musicale.

Partiamo dal vostro nome. Perchè questa scelta e qual è il significato?
A me piace molto la grafica e le locandine dei concerti e dei film. Stavo vedendo un sito di cinema africano e sono imbattuto in una locandina di un vecchio film horror degli anni 70 che si chiamava appunto "I hate my village". E ritrae in copertina due personaggi disegnati in maniera grezza. Ecco, quell'immagine mi ha fatto scattare una molla, un'idea. Mi sembrava che potesse essere un nome adatto per una band. Quando abbiamo iniziato a suonare eravamo solo in due, come quelli della locandina, e mi è sembrata una buona idea.

Quale è stata la scintilla che ha fatto nascere il progetto? Come vi siete trovati?
Abbiamo iniziato io e Fabio Rondanini a Roma a fare jam session proprio perchè ci piaceva sperimentare con qualcosa di musica africana. Ci siamo accorti subito che il suono era originale e aveva delle potenzialità. Poi per registrarci abbiamo chiamato Marco Fasolo dei Jennifer Gentle, che è un produttore incredibile. Poi consequenzialmente abbiamo aggiunto la voce perchè pensavamo che potesse aiutare il progetto a essere percepito come mondiale e non solo italiano. E abbiamo chiamato Alberto Ferrari dei Verdena, la voce più magica a cui avremmo potuto pensare. Gli abbiamo mandato le tracce via mail e lui ce le ha rimandate indietro dopo 2-3 giorni, già tutte cantate, tanta è stata l'ispirazione.

Musicalmente c'era un'idea chiara dall'inizio? Avevate riferimenti precisi?
E' stato tutto molto spontaneo. Senza una guida precisa. L'unica cosa che ci ha spinti a suonare è stato l'amore per la musica e la curiosità. Abbiamo inserito cose che ci piacevano: musica africana e rock in una visione più originale. Abbiamo semplicemente regitrato la musica che avremmo voluto sentire.

I Hate My Village, l'Occidente incontra il tribalismo africano: ecco la nuova superband italiana - foto 2
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Direi che siete un unicum che non vi colloca nella scena attuale italiana. E' una cosa a cui avete pensato preventivamente? Vi fa piacere?
Ci lusinga aver fatto una cosa originale, fatta oggi per oggi. Siamo molto orgogliosi perchè non si rifà a niente, è un suono nostro.

Per incidere questo disco avete usato una strumentazione classica o qualche strumento tipico africano?
La cosa interessante è che abbiamo usato i nostri strumenti classici ma con dei piccoli accorgimenti per farli sembrare strumenti africani. Accorgimenti tecnici. L'idea era di far suonare ad esempio la chitarra come se fosse una kora, la voce come se fosse una tastiera, la batteria come se fossero delle percussioni. Questo è stato il trick.

Il vostro tour è partito a inizio febbraio, ma dove vuole arrivare? All'estero? E' progetto a breve o lungo termine?
Sicuramente ambiamo all'estero. Sicuramente a lunga distanza e ce ne stiamo accorgento adesso che il progetto ha una prospettiva più ampia di quella che pensavamo.