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Fil Bo Riva: "Indie ma non solo, 'L'impossibile' è il mio biglietto da visita per l'Italia"

Eʼ romano ma si è fatto musicalmente le ossa in Irlanda. Ora il cantautore è pronto a conquistare il suo Paese. Tgcom24 lo ha sentito

Fil Bo Riva:
ufficio-stampa

Quando si parla di fuga di talenti all'estero Fil Bo Riva potrebbe tranquillamente rientrare nella categoria.

Romano ma cresciuto musicalmente tra l'Irlanda e Berlino, dove abita, ora si affaccia sul nostro panorama con "L'impossibile", brano che anticipa l'album "Beautiful Sadness", in uscita il 22 marzo. "E' il primo brano che scrivo in italiano - spiega a Tgcom24 -. Tornare quasi da 'straniero' è una bella sensazione".

Sonorità indie ma potenzialità mainstream, "L'impossibile" rappresenta la prima incursione del cantautore nei testi in italiano, anche se solo per il ritornello. Prima e unica incursione in un album che invece lo vede proseguire sulla strada che ne ha permesso l'affermazione internazionale con un Ep, tre tour europei perennemente sold out, numerosi festival internazionali e la nomination agli ultimi Europe Talent Award. Anche perché il pop-rock di matrice anglosassone per lui è stata una sorta di illuminazione arrivata in tenera età... "Sono cresciuto con i Beatles e la musica inglese - racconta -. Sono stati loro a indurmi a cantare, il mio sogno sin da bambino era quello di scrivere musica con testi in inglese. Quando ho avuto l'età adatta ho chiesto ai miei di poter andare in Irlanda perché volevo parlare l'inglese al meglio. Poi ho iniziato a girare e non sono più tornato in Italia".

Fil Bo Riva:
ufficio-stampa

Con "L'impossibile" però torni alle tue radici...
Negli ultimi anni mi sono reso conto che mi mancava la musica italiana. "L'impossibile" è la prima canzone in italiano che ho scritto. Negli ultimi mesi me ne sono venute altre che potrebbero venir buone.

Hai indicato nei Beatles la tua fonte di ispirazione primaria. Ma oggi c'è qualcuno che ti emoziona?
Al giorno d'oggi mi piacciono gli Arctic Monkeys, Boniver, i The War On Drugs. E tra gli italiani apprezzo molto Calcutta.

A proposito di Calcutta, qualcuno ti ha messo nella categoria "indie", che va tanto di moda. Ti ci ritrovi?
Diciamo che in parte posso ritrovarmi in tutte le definizioni, ma se dovessi dare un'etichetta univoca, io stesso non saprei come descrivermi. Diciamo che senza dubbio sono indie da un puro punto di vista etimologico, nel senso che non appartengo a nessuna major. 

Hai fatto fatica a farti accettare all'estero in quanto italiano che cantava in inglese?
E' un grande tema che ho vissuto sulla mia pelle soprattutto in Irlanda. Ma devo dire che non mi è mai accaduto che l'essere italiano fosse una cosa negativa, fonte di intralcio. Anzi, spesso ha suscitato curiosità e voglia di scoprire la mia musica.

Che effetto ti fa essere pubblicato in Italia da "straniero"?  
E' una bellissima sensazione. Inizialmente pensavo che la mia musica non potesse funzionare, invece quando ho avuto modo di suonare in Italia mi sono accorto di essere molto apprezzato. Il pubblico italiano è un'altra cosa. In Italia la reazione di 300 persone equivale a quella di 1500 a Berlino.