La band torna dopo 12 anni di silenzio con "Heimat", un album tra pop ed elettronica con contenuti importanti
di Massimo LongoniFoto di Matteo Galvani © ufficio-stampa
Dopo 12 anni di silenzio tornano i Delta V di Carlo Bertotti e Flavio Ferri, con la nuova voce di Marti (Martina Albertini). "Heimat" è un lavoro politico nel senso più nobile del termine, un album che nasce dall'urgenza di raccontare la crisi dei nostri tempi. "Dopo tanti anni sentivano che c'erano delle cose da dire - spiega Carlo Bertotti a Tgcom24 -. Siamo forse fuori dal contesto dominante ma per noi un disco così era necessario".
La storia di "Heimat" è quella di un senso di appartenza. A un luogo, ideale o concreto che sia, dal quale allontarsi e poi fare ritorno. Come nella monumentale opera filmata da Edgar Reiz nel 1984, dove la storia di una famiglia diventa la metafora l'epopea di un intero popolo, i Delta V individuano in quel termine la necessità di tornare al proprio luogo dell'anima. in un momento di necessità. Per far questo sono state riallacciati i nodi di una storia musicale che si era interrotta e i cui protagonisti avevano preso strade diverse: Carlo Bertotti si era dedicato a tutt'altro genere di progetti, Flavio Ferri aveva lasciato l'Italia per andare a vivere a Barcellona. L'elemento catalizzatore che ha permesso il riaccendersi della fiamma è stata alla fine Marti. "Io sono un’entusiasta e davanti alle cose belle cerco di catturarle - spiega la cantante -. Stsvo lavorando con Carlo su un altro progetto e quando lui mi ha fatto sentire delle cose che aveva scritto, ancora allo stato embrionale, io mi sono innamorata subito. Ci ho riconosciuto l’heimat di cui parliamo nel disco".
Come mai la storia dei Delta V si era interrotta?
Bertotti: Semplicemente, più di 12 anni fa, ci siamo accorti che non c’era più nulla da dire. E così abbiamo deciso di chiudere anche se avevamo ancora un contratto per due album che avrebbe potuto darci qualche soddisfazione dal punto di vista economico. Allo stesso modo ci siamo accorti che adesso c’era qualcosa da dire, e anche urgente.
Nella vostra storia avete cambiato cantante più volte, da Francesca Tourè a Gi Kalweit. Come è stata scelta Martina?
Bertotti: In realtà per caso. Io stavo lavorando con lei su tutt'altro genere di progetti. Dal momento che sapevo che cantava, le ho chiesto di incidere una voce guida sui provini intanto che cercavano una vocalist. Solo che i provini alla fine erano sempre meglio e alla fine abbiamo deciso che lei sarebbe stata la nostra cantante.
Ascoltando il disco si notano subito due cose che lo pongono fuori dal contesto dominante: una serie di accordi e armonie inusuali oggi, che riportano agli anni 80 e 90, e un impegno nei testi decisamente controcorrente. Come vi sentite in un panorama musicale come quello odierno?
Ferri: Io sono fortunato perché vivo lontano e alcune cose me le fa ascoltare Carlo. Certe cose c’erano anche quando eravamo piccoli noi. Oggi crearsi un mondo musicale è più difficile, perché siamo attaccati al telefonino e se ascolti una canzone vieni bombardato da consigli di cose simili.
Bertotti: Io mi sento molto bene ad aver fatto un disco come questo. Mi sento in pace con me stesso. Era una cosa importante da vomitare con queste coordinate. Se oggi chiedi alla gente qual il problema di questo paese uno ti dirà gli immigrati, l’altro le tasse, un altro il lavoro. Ma nessuno ti dirà che manca la conoscenza.
La conoscenza oggi spesso viene associata ad elite...
Ferri: C’è gente che si vanta di non sapere niente e questo è allucinante. La destrutturazione della conoscenza nel nostro Paese ha generato quello che viviamo adesso. C’è l’impossibilità di esercitare una scelta consapevole. Non c’è più l’immaginario, che è una cosa che deve essere esclusivamente tua per poterla poi condividere. E in quel momento crei conoscenza. Invece oggi ti spiattellano tutto senza prospettiva. Non l’assorbi nemmeno: la immagazzini nei tuoi giga cerebrali. Ed è finita lì.
Bertotti: Ricordo che quando ero ragazzo avevo il terzo disco dei Police, "Zenyatta Mondatta". Nella copertina interna aveva un sacco di foto. E io le ho consumate cercando di immaginare cosa c’era dietro. Oggi sai persino quando uno va a fare il bidet. E questa cosa non mi piace.
Mi pare di capire che non vi piacciano i social.
Bertotti: Io non sono contro la tecnologia. Se non ci fosse stata la nostra pagina Facebook non avremmo magari trovato gli stimoli per ricominciare, perché ci ha permesso di sapere che c’era un pubblico che ci aspettava. Però, per essendo un mondo con cui mi interfaccio per lavoro, trovo che l’emozione sia bidimensionale e nella bidimensionalità io mi perdo.
Avete nostalgia dei tempi andati?
Bertotti: Assolutamente no, il nostro non è un atteggiamento nostalgico. Ogni tempo ha i propri mezzi di comunicazione.
Ferri: Le cose possono andare insieme. Mia figlia usa tablet e computer senza problemi, però poi ha anche un sacco di libri e deve andare in biblioteca per capire da dove parte tutto questo. Oggi come oggi c’è gente che non ha nemmeno idea di come si ordini una biblioteca, e sono cose fondamentali. E devo dire che, vivendo io a Barcellona, mi rendo conto che in Italia la situazione è un po' peggiore, là il tempo è come se fosse un po’ rallentato.
Con questi presupposti pensate ci possa essere spazio per una realtà come la vostra oggi?
Marti: Non abbiamo fatto nessun di tipo di riflessione riguardo al fatto che potessimo piacere al pubblico di oggi o meno: abbiamo detto quello che sentivamo necessario dire. Mediare a volte non paga. Se va bene ok, se non va bene… va bene uguale.
Bertotti: Mi rendo conto che forse la stessa casa discografica si aspettava un disco diverso, ma noi siamo questi e volevamo essere onesti con noi stessi prima di tutto. So che in radio non c’è nulla che suona così e che intorno c’è un mondo sonoro con coordinate completamente diverse, ma noi siamo questi. E non ci sentiamo dei reduci. Viviamo la contemporaneità in maniera consapevole.
I vostri video sono sempre stati una parte importante del vostro lavoro. In quello di "30 Anni" ci sono degli intermezzi "tarantiniani", a suddividere in capitoli la storia.
Bertotti: I video di fatto sono delle estensioni dell’album. Nel caso di "30 Anni" abbiamo inserito quegli intermezzi per mettere la lentezza: volevamo ci fosse lo spazio per il silenzio, altra cosa che abbiamo perso nella nostra società. Ritmo ritmo! Bisogna essere sempre sul pezzo. Capisco che il ritmo applicato alla sopravvivenza sia fondamentale, ma lo è anche avere uno spazio per essere presenti anche nel silenzio.
Tra i vostri maggiori successi ci sono cover come "Se telefonando" e "Un'estate fa". Questa volta è toccato a "Io sto bene" dei CCCP. Come l'avete scelta?
Marti: L’ho scelta io. Durante le session di prove improvvisamo su varie cose. Una sera siamo andati a un concerto di Giovanni Lindo Ferretti e ci siamo resi conto di come pezzi scritti a metà degli anni 80 fossero ancora attuali. Nei giorni seguenti ho iniziato ad accennare una melodia con il testo di “Io sto bene” Da lì abbiamo lavorato scomponendo il pezzo originale e rifacendolo nostro, con tanto di accordi diversi. Di fatto è più una cover del testo...
Quando si toccano in maniera così pesante canzoni storiche è sempre un rischio. Avete pensato alla reazione dei fan?
Bertotti: Ne eravamo spaventati, essendo fan noi stessi. Per questo abbiamo cercato un contatto con Massimo Zamboni e Lindo Ferretti per chiedere il loro benestare. Massimo ci ha dato l’ok subito. Con Lindo Ferretti la strada era più difficile, anche perché lui quel pezzo non lo ama, e non lo canta mai. Abbiamo provato a mandargli una mail e lui ci ha mandato una risposta bellissima. Ci ha spiegato che il pezzo non lo sente più suo ma ha riconosciuto il fatto che avevamo reso la canzone nostra e non un compitino che ricalcasse l’originale. Gli è piaciuta molto ed è rimasto stregato dalla voce di Marti.
Avete detto che questo disco è nato perché figlio di un'urgenza. Esaurita quella qual è il futuro dei Delta V?
Bertotti: Il processo di lavorazione è stato molto lungo e durante questi mesi sono nate anche tante altre canzoni. Non intendiamo lasciare che "Heimat" resti un episodio isolato.
Anche se il periodo è così complicato?
Bertotti: In un certo senso proprio per quello. Heimat è il luogo a cui appartieni. Questo è un momento critico e raccontare una crisi è complicato, perché tu ci sei immerso fino al collo e come tale anche correo. Ma è un punto di partenza. Il disco porta una visuale molto disincantata ma non sono solo macerie. E’ una presa di coscienza molto cruda ma che ti fa alzare il mattino dopo e dire: Io sono qui.
TOUR
I Delta V saranno in tour la prossima estate. Ad anticiparlo ci saranno due concerti in programma rispettivamente il 6 marzo a Milano (Magazzini Generali), l'8 a Torino (Hiroshima Mon Amour)..
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