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Addio a Kim Ki-duk, il regista sudcoreano cult morto per Covid

Considerato una delle figure di maggior rilievo del cinema asiatico e internazionale, ha vinto il Leone d'Oro e il Leone d'Argento a Venezia. Aveva solo 59 anni

IPA

Il regista sudcoreano Kim Ki-duk è morto in Lettonia, in seguito a complicazioni legate al Covid-19. Aveva 59 anni. Secondo il sito Delfi.lt, era arrivato in Lettonia a novembre per acquistare una casa nella località marittima di Jurmala, ma non si era presentato ad un incontro. Da alcuni giorni il suo entourage aveva perso i contatti. Considerato una delle figure di rilievo del cinema asiatico, ha vinto a Venezia e Berlino.

Nato il 20 dicembre 1960 a Bonghwa, nel nord di Gyeongsang, nella Corea del Sud, problemi occorsi in famiglia lo costringono ad abbandonare gli studi da giovane e ad arruolarsi nell’esercito. L’esperienza militare influenzerà moltissimo il suo modo di intendere i rapporti interpersonali, come anche le sue opere cinematografiche. La passione per l'arte, coltivata da sempre, ad un certo punto prende il sopravvento e lo spinge ad abbandonare la patria in direzione dell’Europa: sarà Parigi ad accoglierlo. Qui vive di arte, dei suoi dipinti e comincia anche a scrivere sceneggiature per il cinema. Nel 1992 torna in Corea dove vince il premio della Korea Film Commission per la migliore sceneggiatura di "Jaywalking" e debutta come regista l’anno seguente con "The Crocodile". 

 

Ma è il film "Seom - L’isola" (2000) a ottenere un grande successo costituendo un primo spartiacque tra quanto realizzato prima e quanto verrà dopo. Dopo alcune prove estremamente cupe e crude, il film "Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera" (2003) irradia letteralmente una luce nuova, anche in senso artistico, e lo consacra come regista in tutta Europa.

 

Il 2004 è un anno prolifico baciato dal successo: "La samaritana" vince l’Orso d’oro per la miglior regia al 54esimo Festival del Cinema di Berlino, mentre "Ferro 3 – La casa vuota", ritenuta la sua summa artistica, ottiene un Leone d’argento per la miglior regia alla 61esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia (e una candidatura al David di Donatello come miglior film straniero).

 

Seguono altre pellicole sempre particolarmente controverse. E dopo una battuta d’arresto nel 2011 torna con "Arirang" che trae spunto proprio dal lungo periodo di silenzio e crisi artistica del regista. Il film vince il premio della sezione Un Certain Regard al 64esimo Festival di Cannes. Tornato alla carica, nel 2012 il suo "Pietà" vince il Leone d’Oro alla 69esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Torna poi in Laguna nel 2016 con "Il prigioniero coreano".

 

Schietto e semplice dal punto di vista registico, il cinema poetico di Kim ki-duk esalta la profondità dei sentimenti usando un linguaggio fortemente espressivo e simbolico. "Non credo che i miei film siano al cento per cento realistici. Nella vita ci sono molte cose che non capiamo, avvenimenti crudeli che ti provocano dolore: a questi elementi io aggiungo immagini fantastiche e così ne traggo un'altra interpretazione della realtà", aveva dichiarato il regista. I protagonisti dei suoi lavori sono emarginati, senzatetto, strozzini, assassini, prostitute, comunque persone che vivono al di fuori della morale comune con un'esistenza tra il degrado e la solitudine. Il suo cinema è caratterizzato dalla crudezza delle immagini e spesso dalla violenza mostrata senza filtri né censure che però non è mai fine a se stessa o messa lì per impressionare il pubblico: è il mezzo per esplorare sia le ferite dei suoi personaggi che il lato più oscuro dell’essere umano.

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