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30 anni senza Ugo Tognazzi, il "colonnello" della commedia all'italiana

Lʼattore morì nella notte del 27 ottobre del 1990 sorpreso nel sonno da unʼemorragia cerebrale, aveva 68 anni

Aveva solo 68 anni quando un'emorragia cerebrale lo colpì nel sonno nella notte del 27 ottobre 1990. 30 anni senza Ugo Tognazzi, maestro e indimenticabile interprete di tanti film di successo, come "Il federale" (1961), l’irriverente saga "Amici miei" (1975, 1982, 1985, dove interpretò il mitico conte Mascetti), "Il vizietto" (1978, 1980 e 1985), "I nuovi mostri" (1977) e "Vogliamo i colonnelli" di Mario Monicelli, una delle satire più riuscite sulla classe politica italiana della Prima Repubblica.

Vincitore di tre David di Donatello e quattro Nastri d’argento, nel 1981 Tognazzi vinse anche il premio per la Miglior interpretazione maschile al Festival di Cannes per il film drammatico "La tragedia di un uomo ridicolo".

Accanto a lui in una serie di film divenuti veri e propri cult e in una formazione che li rendeva molto simili ai tre moschettieri, anche il gigione e intellettuale Gassman, il sommesso ciociaro Manfredi e un quarto, una sorta di D'Artagnan coi modi eleganti di Mastroianni.

 

Ugo Tognazzi, guarda gli scatti della sua carriera

 

Ma Tognazzi fece anche radio, teatro e soprattutto tanta televisione. 
Nasce a Cremona il 23 marzo del 1922. La famiglia è tutt'altro che ricca e quando Ugo finisce la scuola è già tempo di trovare un lavoro. Lo assumono in un salumificio ma conserva il posto soprattutto per merito delle recite filodrammatiche che mette in scena al dopolavoro. L'arte della comicità servirà a Tognazzi per stare defilato anche durante la guerra quando si impegna soprattutto a organizzare spettacoli leggeri per il morale delle truppe. A guerra finita approda a Milano e viene baciato dalla fortuna perché si fa notare da Wanda Osiris a una serata di dilettanti al teatro Puccini. Assunto in compagnia si costruisce una brillante carriera di intrattenitore. Lascia il lavoro e nel 1950 scende a Roma sulla via di Cinecittà perché "col cinema si guadagna di più. Ma niente come il teatro", dirà: "restituisce il calore del contatto diretto che io ho poi ricostruito con la mia vera vocazione, la cucina. Preparare una cena e vedere l'espressione soddisfatta dei commensali è proprio come finire una serata in teatro quando il pubblico ti applaude. Per questo considero il cinema solo come il mio hobby preferito".

 

 Il primo ruolo sullo schermo glielo affida Mario Mattoli ne "I cadetti di Guascogna" del 1950 a fianco di Walter Chiari che gli ruba la scena. L'anno seguente incontra invece Raimondo Vianello e i due faranno coppia fissa per tutti gli anni '50 arrivando al grande pubblico con il trionfale successo di molte pellicole, ma soprattutto col varietà televisivo "Un, due, tre". Nel 1959, a causa di una scenetta satirica sul presidente della Repubblica Gronchi, il programma viene chiuso senza preavviso e i due licenziati dalla Rai. Ma il cinema ha ormai adottato quel lombardo che sforna film a raffica (12 nel solo 1959) ed è ormai pronto per parti da protagonista senza rivali. Se ne accorge Luciano Salce che con lui si afferma grazie a "Il federale" (1961) per poi stringere un lungo sodalizio. Se ne accorge Dino Risi che ne replica il successo con "La marcia su Roma" del '62.

 

 

La carriera di Ugo Tognazzi da quel momento è un'ascesa costante che diviene sfida a se stesso: non è un uomo bello, secondo i canoni tradizionali, ma ha fascino da vendere; non è un attore intellettuale e colto come il suo amico Gassman, ma non c'è autore di qualita' che non lo cerchi; ha l'impronta dell'uomo normale ma con l'altro amico d'elezione, Marco Ferreri, cerca l'eccesso, la provocazione, il surrealismo calato nella rappresentazione realista della vita. Nascono così capolavori come "La donna scimmia", "L'udienza", "La grande abbuffata".
Per Monicelli darà vita invece alla saga di "Amici miei" con l'irresistibile maschera del Conte Mascetti e alla satira più corrosiva sulla strategia della tensione e sulla paura del colpo di Stato nell’Italia della Prima Repubblica, "Vogliamo i colonnelli" film del 1973.

 

Con Risi e Scola stringerà un sodalizio profondo che frutta grandi successi come "Straziami ma di baci saziami" o "La terrazza". Un vitalismo insaziabile che si traduce nella capacita' di rischiare ogni volta, spinge Tognazzi ad evitare gli schemi e le "parrocchie" del cinema italiano: incrocia Elio Petri ("La proprietà non è più un furto") e Bernardo Bertolucci ("La tragedia di un uomo ridicolo" con cui vince la Palma d'oro a Cannes nel 1981); sostiene gli esordi di Pupi Avati ("La mazurca del barone...") e si traveste da gay per Edouard Molinaro ne "Il vizietto" che sul finire degli anni '70 lo rilancia in tutto il mondo. Continua a tenere un ritmo di lavoro infernale (almeno due film all'anno) ma dalla metà degli anni '80 torna sempre più di frequente al teatro, passa molto tempo a Parigi, si fa sorprendere dalla malattia più infida e crudele: la depressione. 

 


Tre matrimoni, i figli e la dolcezza dell'ultima moglie Franca Bettoja, non poterono fare nulla, il grande attore si isola sempre più spesso e comincia, senza finirli, una serie di progetti. 
 A vent'anni dalla morte, sua figlia Maria Sole gli ha dedicato un documentario, "Ritratto di mio padre", che ne recupera la dolcezza e la sensibilità anche fuori dal set, mentre i figli Ricky e Gianmarco (entrambi attori/autori) hanno spesso cercato mostrare la stessa naturalezza interpretativa, frutto di una passione autodidatta. Tognazzi fa parte di quel manipolo di "mattatori" che hanno fatto grande il cinema italiano mettendo in mostra tutti i difetti, le viltà, le fragilità dell'uomo contemporaneo. Ma rispetto agli altri (Sordi ad esempio) il cremonese Ugo ha saputo regalarci una maschera mai definibile, mai stereotipata, sempre amorevole. 

 

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