A scoprirlo alcuni dati raccolti dalla missione Dawn. Presenti molecole organiche come il carbonio e una fonte di calore che poteva riscaldare una riserva di acqua salata sotterranea: condizioni ideali per supportare le forme di vita
© NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA
Più di 2,5 miliardi di anni fa Cerere, l'unico pianeta nano del Sistema solare interno situato tra Marte e Giove, aveva forse le condizioni adatte a ospitare la vita: oltre alla presenza di molecole organiche come il carbonio, indispensabili per la sopravvivenza di cellule microbiche, questo corpo celeste ormai freddo aveva infatti anche una fonte di calore che poteva riscaldare una riserva di acqua salata sotterranea, condizione ideale per supportare forme di vita unicellulari.
La scoperta, pubblicata sulla rivista Science Advances dal gruppo di ricercatori guidato dall'Università Statale dell'Arizona, si deve ai dati raccolti dalla missione Dawn della Nasa, ormai conclusa: la sonda, lanciata nel 2007, è entrata in orbita attorno a Cerere a marzo 2015 per mapparne la superficie e ha continuato a girare intorno al pianeta nano anche dopo essere stata disattivata a novembre 2018. Grazie a simulazioni effettuate con i dati raccolti da Dawn, i ricercator hanno scoperto che, circa 2,5 miliardi di anni fa, era probabilmente attivo un flusso costante di acqua calda che trasportava in forma disciolta i gas rilasciati dalle rocce presenti nel nucleo di Cerere fino a un oceano salato sotterraneo. Il calore sarebbe stato dovuto al fenomeno di decadimento radioattivo di elementi presenti nel nucleo roccioso, un processo abbastanza comune anche su altri pianeti del Sistema solare.
"Sulla Terra, quando l'acqua calda proveniente dalle profondità del sottosuolo si mescola con l'oceano, il risultato è spesso un vero e proprio buffet per i microbi", afferma Samuel Courville, che ha guidato i ricercatori. "Quindi, se riuscissimo a dimostrare che l'oceano di Cerere ha avuto un afflusso di fluido idrotermale in passato ciò potrebbe avere grandi implicazioni", continua. Anche perché lo stesso fenomeno potrebbe aver caratterizzato, nel lontano passato, anche altri pianeti nani che si trovano nelle regioni più esterne del nostro Sistema solare.