L'ALLARME

Adolescenti sempre più soli: sette su dieci chiedono agli adulti meno giudizi e più ascolto e la metà si affida all'IA

L’Intelligenza Artificiale è sempre più protagonista delle vite degli adolescenti italiani, non solo per fare i compiti ma anche come strumento di supporto emotivo e confidente, in uno scenario in cui gli adulti mancano di empatia e ascolto, ma abbondano di giudizio

27 Nov 2025 - 12:08
 © Ufficio stampa

© Ufficio stampa

Dove non arrivano i grandi, ci pensa l’Intelligenza Artificiale: un numero sempre più alto di adolescenti lamenta, infatti, un’assenza di ascolto e connessione emotiva da parte degli adulti di riferimento, che spesso si pongono loro con atteggiamento giudicante. Il risultato? Si affidano in massa a chi queste caratteristiche sembra possederle, sebbene non abbia un’anima: uno su due (46%) ha fatto ricorso all’IA per parlare delle proprie emozioni e, per uno su 10, questa routine è una costante.

A svelarlo è l'annuale indagine realizzata dall’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche, GAP e Cyberbullismo (Di.Te.) insieme a Skuola.net, diffusa in occasione della 9ª Giornata Nazionale sulle Dipendenze Tecnologiche e Cyberbullismo. L’indagine, che ha coinvolto 927 ragazzi tra i 10 e i 20 anni, restituisce un’immagine nitida della condizione emotiva della generazione cresciuta tra smartphone e social network.

L'ascolto in famiglia è sempre più carente

Oltre 7 ragazzi su 10 quelli che dichiarano di avere un forte bisogno di sentirsi ascoltati davvero, non solo “sentiti”. Più di 1 su 5, inoltre, afferma che questa esigenza è sempre presente, come se fosse diventata una sorta di richiesta pressante rivolta al mondo degli adulti.
Peccato però che, allo stesso tempo, la maggior parte non riesca a trovare questi spazi nella vita offline: quasi 2 su 3 vorrebbero ricevere più “carezze emotive” dalle persone che li circondano, qualche gesto in più che comunichi presenza e non soltanto controllo.

E, forse anche per questo, quasi 6 su 10 ammettono di fare fatica a parlare apertamente delle proprie emozioni faccia a faccia, come se la comunicazione autentica fosse diventata un terreno scivoloso, pieno di timori e aspettative.

Il costante confronto social(e) aggrava un quadro già complesso

Su questo scenario già complesso si innesta, poi, il peso del confronto sociale, che per molti funziona come una lente distorta, attraverso cui guardarsi: il 68% degli intervistati ammette, guarda caso, che l’approvazione degli altri incide sulla propria autostima, spesso più di quanto vorrebbero.

Questo filtro attraverso cui si guarda la realtà porta, inoltre, il 58% degli intervistati a essere convinto che gli altri stiano meglio, siano più felici, più amati, più sicuri di loro. Circa la metà (52%) soffre proprio il confronto continuo con le vite (apparentemente) “perfette” che scorrono sui social. Più o meno la stessa quota (51%) teme, invece, il giudizio altrui se prova a mostrare le proprie fragilità. Il tutto si traduce in una pressione silenziosa, quotidiana, che spinge molti a rifugiarsi dove sentono meno rischi.

L'Intelligenza Artificiale sta diventando il principale confidente

Ed è qui che emerge uno dei passaggi più significativi dell’intera indagine: l’Intelligenza Artificiale, ormai, non viene più percepita solo come uno strumento, ma come un potenziale interlocutore emotivo.

Quasi un ragazzo su due (46%) ha già utilizzato un sistema basato sull’IA generativa (come, ad esempio, ChatGPT) per parlare delle proprie emozioni. Circa 1 su 10 lo fa abitualmente.

Questa cosa non va assolutamente sottovalutata. Non si tratta di un gioco né di una curiosità tecnologica: chi ricorre all’IA lo fa perché, spesso, la percepisce come un ambiente meno giudicante degli adulti, più paziente, più neutrale. Lo confermano gli stessi ragazzi raggiunti dal sondaggio: i due terzi (66%) sostengono che l’IA li ascolti senza giudicare, quasi altrettanti (64%) affermano di sentirsi compresi dall’algoritmo.

Il risultato di un approccio del genere? L’ingresso sempre più prepotente dell’Intelligenza Artificiale nelle vite dei nostri giovani. Più della metà (58%) ormai considera i chatbot dei validi aiuti, quasi degli amici, da interpellare nei momenti emotivamente difficili. Un fenomeno che solleva domande ed evidenzia un vuoto: perché un algoritmo può apparire più accogliente degli adulti.

I giovani vorrebbero riappropriarsi della dimensione "analogica"

Forse perché le ragazze e i ragazzi di oggi si sentono quasi “costretti” a farlo. Non sentendo intorno a sé, come visto all’inizio, la presenza di una rete di protezione fatta di persone in carne ed ossa. Quando, potendo, le nuove generazioni farebbero volentieri a meno dell’aiuto dell’amico tecnologico. Invece, ne sono “schiavi felici”. 

Un dato, su tutti, lo fa intuire: il 59% dice che starebbe meglio se i social scomparissero dall’oggi al domani. Non si tratta, quindi, di una fuga tra le braccia di algoritmi e piattaforme, ma della ricerca di uno spazio in cui essere sé stessi senza la costante pressione del confronto e della performance. La tecnologia, in questo, diventa uno specchio fedele del loro bisogno di autenticità, non la causa del disagio.

Non è (solo) colpa della tecnologia

Una condizione che, intanto, preoccupa molto gli esperti. “Questi dati raccontano di una generazione che non chiede meno tecnologia, ma più adulti”, osserva Giuseppe Lavenia, Presidente dell’Associazione Di.Te., che prosegue, “se l’approvazione diventa autostima, se un’IA diventa l’unico luogo dove sentirsi ascoltati senza giudizio, allora il problema non è lo schermo, bensì è la solitudine. La tecnologia non va demonizzata, va condivisa e mediata. E la presenza adulta deve tornare a essere un argine, non un’assenza”.

Sulla stessa linea Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net, che interpreta così il fenomeno: “I ragazzi ci stanno dicendo una cosa semplice. Che non vogliono un mondo senza digitale, vogliono un digitale che non li lasci soli. Il fatto che quasi la metà degli adolescenti usi l’IA per parlare delle proprie emozioni fa emergere un vuoto educativo e relazionale che non possiamo ignorare. Se un algoritmo viene percepito come più accogliente di un adulto, il problema non è la tecnologia, ma il modo in cui stiamo accanto alle nuove generazioni”.