IL PARERE DELL'ESPERTA

La malattia renale cronica colpisce più le donne: ecco perché

Ne soffre oltre una su dieci. Secondo Carmelita Marcantoni, segretario della Società italiana di nefrologia, le donne sono più a rischio di contrarre questa malattia a causa del minore accesso alla diagnosi o alle cure 

09 Dic 2025 - 11:50
 © -afp

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Le donne sono più a rischio degli uomini di soffrire di malattia renale cronica che porta alla perdita progressiva della funzionalità dei reni, con circa il 12% delle donne colpite contro il 10% dei coetanei di sesso maschile (dati europei), secondo un recente studio dell'Università di Amsterdam pubblicato sulla rivista Nature Review Nephrology.

Previsioni preoccupanti

 I dati del Global Burden of Disease Study, il più ampio studio epidemiologico mondiale, non sono confortanti per quello che riguarda il futuro: entro il 2050, il numero globale di adulti con malattia renale cronica supererà un miliardo, con una diffusione maggiore nelle donne rispetto agli uomini, soprattutto negli stadi iniziali della malattia. A livello globale per il 2050 ne soffrirà intorno al 14-15 per cento della popolazione adulta, il 57% dei casi tra le donne. In Italia questi numeri si traducono in 7-8 milioni di adulti con questa patologia entro il 2050, di cui circa 4,2-4,6 milioni di donne e 3,4-3,8 milioni di uomini. 

"Un killer silenzioso"

 La malattia renale cronica, spiega Carmelita Marcantoni, segretario della Società italiana di nefrologia e direttore della nefrologia e dialisi del Policlinico Rodolico - San Marco di Catania, è in aumento in Italia, principalmente a causa dell'invecchiamento della popolazione e dell'incremento di malattie croniche che possono compromettere la salute dei reni, come diabete, sindrome metabolica, pressione alta e obesità. Complessa e invalidante, malattia renale cronica viene definita un "killer silenzioso", infatti viene spesso diagnosticata in ritardo, quando è ormai in stadio avanzato, a causa della mancanza di segni evidenti o sintomi sentinella che favoriscano la diagnosi precoce.

Gli svantaggi per le donne nelle malattie dei reni

 Come avviene per altre malattie in cui le donne risultano svantaggiate, anche per la salute dei reni le variazioni ormonali hanno un impatto forte: se i reni delle donne in età fertile sono protetti dall'azione antinfiammatoria e anti-fibrotica degli ormoni femminili estrogeni, questa protezione viene meno in menopausa, rendendo le donne più vulnerabili alla malattia renale, con rischi che superano anche quelli dei coetanei maschi. Anche la gravidanza rappresenta un periodo a rischio, in quanto alcune gestanti soffrono di pressione alta, soprattutto durante l'ultimo trimestre, che può mettere a rischio la salute cardiovascolare e renale della donna, con strascichi negativi che perdurano dopo il parto. E poi ancora, le donne sono più a rischio di malattia renale cronica "secondaria", ovvero che scaturisce a seguito di altre malattie, in particolare di quelle autoimmuni (come il lupus) e di infezioni a carico delle vie urinarie, come la cistite che rappresenta un altro punto debole femminile. Inoltre, la donna ha anche una minore probabilità di ricevere la diagnosi, di andare dallo specialista nefrologo e di avere accesso alle cure; e, sottolinea Marcantoni, nelle fasi avanzate di malattia, gli uomini accedono più frequentemente alla dialisi e anche al trapianto, mentre le donne, soprattutto se anziane, optano più spesso per cure conservative.  

 "Per certi versi si tratta del risultato di un retaggio culturale che da sempre vede noi donne schiacciate tra la cura dei figli e la cura dei genitori anziani", rileva l'esperta. "La donna è sempre poco incline a prendersi cura di sé e i fatti lo confermano, basti pensare che da sempre sono di più le donne che donano un rene a un uomo rispetto al contrario", insiste Marcantoni. Infatti, le donne riportano un'inferiore qualità di vita correlata alla salute e un carico di malattie maggiore rispetto agli uomini. "La donna è anche meno rappresentata nei trial clinici per le malattie renali, in cui si arruolano in prevalenza pazienti di sesso maschile e non si tiene conto delle differenze di genere", aggiunge. "Per ridurre queste disparità è urgente aumentare la consapevolezza e lo screening della malattia nelle donne, garantire equità di accesso a terapie e trapianto, e implementare le buone pratiche cliniche tenendo conto delle differenze di genere", conclude Marcantoni. 

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